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giovedì 17 settembre 2015

Franz d'Epinay

Amico di Albert de Morcerf, lo accompagna nel suo viaggio in Italia. Si dividono solo quando Albert va a Napoli, mentre Franz si dirige a Firenze.

Autoritratto a Saint-Saveur, di Federic Bazille


Avendo deciso di andare con l'amico parigino in Italia, sceglie di passare per la bella città fiorentina, per seguire un nuovo itinerario nel suo grand tour. Dopo essere passato per la città sceglie di visitare anche Portoferraio, città imperiale per eccellenza, e di passare qualche tempo sulla costa.
Lì incontra dei marinai che gli propongono di visitare l'isola di Montecristo. Giunto sul luogo, incontra Simbad il marinaio, uno degli alter ego di Edmond, e con lui passa una serata di svago, tra hashish e belle donne.
Reincontrato Albert a Roma gli racconta l'accaduto e incontra, nell'albergo in cui entrambi soggiornano, il Conte di Montecristo. Franz rimarrà stregato e conquistato dalla sua personalità, soprattutto perché il Conte salva Albert dai banditi romani.

A Parigi continua le sue frequentazioni con l'alta società e cerca di conquistare le grazie di Valentine Villefort, che però rifiuta i suoi corteggiamenti perché è innamorata del giovane Maximilien. Franz sarà anche uno dei testimoni, insieme a Beuchamp, di Albert quando sfida il Conte di Montecristo a duello.

giovedì 9 aprile 2015

I catalani (III)

E anche il terzo capitolo è finito!!
Ecco qui la parte mancante.
“Il cielo mi perdoni! Non sanno d'esser visti... Eccoli!”
Danglars si godeva ogni piccolo cenno di sofferenza sul viso di Fernand, che si scomponeva in modo assai evidente.
“Li riconoscete, Fernand?” disse.
“Sì - rispose questi con flebile voce - sono Edmond e Mercedes.”
“Ah, vedete - disse Caderousse - li avevo riconosciuti! Che bella ragazza! E diteci quando si faranno le nozze, poiché Fernand si è ostinato a non volercelo dire.”
“Vuoi tacere? - disse Danglars, simulando di trattenere Caderousse, che con l’audacia dell'ubriaco si sforzava di piegarsi fuori dal pergolato - Cerca di tenerti dritto, e lascia agli innamorati la loro intimità. Guarda Fernand e prendi esempio da lui, è un uomo ragionevole.”
Forse Fernand, ormai al limite e punto da Danglars come il toro dai giostratori, stava per slanciarsi: si era già alzato e sembrava raccogliersi per scagliarsi contro il suo rivale, ma Mercedes, ridente e accorta, alzò la sua bella testa e fece brillare il suo sguardo limpido.
 Allora Fernand si ricordò della minaccia che aveva fatto di morire se Edmond fosse morto, e ricadde scoraggiato sulla panca. Danglars guardò quei due uomini: l'uno imbestialito dall'ubriachezza, l'altro dominato dall'amore.
“Non otterrò niente da questi imbecilli – mormorò - e ho una gran paura di essere qui fra un ubriaco ed un poltrone. Ecco un invidioso che si ubriaca con del vino, mentre dovrebbe farlo con il fiele; ecco un grande imbecille al quale viene tolta la sua bella da sotto al naso, e si accontenta di piangere e di lamentarsi come un ragazzo: e sì che ha gli occhi fulminanti degli spagnoli, dei siciliani e dei calabresi, che sanno vendicarsi così bene, e dei pugni che romperebbero la testa a un bue come la mazza del macellaio! Decisamente il destino di Edmond è dolce: sposerà la ragazza, sarà fatto capitano e ci deriderà, a meno che...- un sinistro sorriso affiorò alle labbra di Danglars - a meno che io non intervenga...” concluse.
“Ehi! - continuava a gridare Caderousse, mezzo alzato e con i pugni sulla tavola - ehi, Edmond, non hai visto dunque i tuoi amici, o sei già diventato così superbo da non parlare con loro?”
“No, mio caro Caderousse - rispose Dantès - io non sono superbo, sono felice! E la felicità acceca, credo, assai più della superbia!”
“Finalmente! Ecco una bella spiegazione - disse Caderousse – oh, buongiorno signora Dantès.”
Mercedes salutò con serietà.
“Questo ancora non è il mio nome – disse - e nel mio paese è di cattivo auspicio chiamare le ragazze con il nome del fidanzato prima che sia loro marito. Vi prego dunque di chiamarmi Mercedes.”
“Bisogna perdonare il buon vicino - disse Dantès - si sbaglia di poco.”
“Dunque le nozze sono vicine, Dantès?” disse Danglars salutando i due giovani.
“Il più presto possibile, signor Danglars: oggi ci metteremo d’accordo con mio padre e al massimo domani il pranzo di fidanzamento, qui alla Resérve. Spero che gli amici ci saranno, e ciò vuol dire che siete invitato, signor Danglars, e tu, Caderousse, non mancherai.”
“Fernand - disse Caderousse ridendo - sarà invitato anche lui?”
“Il fratello della mia sposa è anche mio fratello - disse Edmond - e sia io che Mercedes saremmo molto dispiaciuti se si allontanasse da noi in questa circostanza.”
Fernand aprì la bocca per rispondere, ma la voce gli si estinse in gola e non riuscì ad articolare le parole. “Oggi gli accordi, domani o dopo il fidanzamento! ...Che diavolo! Capitano, voi avete molta fretta.”
“Danglars - rispose Edmond sorridendo - vi dirò ciò che Mercedes ha detto a Caderousse: non mi date un titolo che non mi appartiene... Mi porterebbe cattivo augurio.”
“Scusate - precisò Danglars - dicevo semplicemente che voi avete molta fretta. Che diavolo! C’è tempo; il Pharaon non metterà la vela che fra tre mesi.”
“Si ha sempre fretta di essere felici; quando uno ha sofferto lungamente, fa fatica a credere alla felicità. Ma non solo l’egoismo che mi fa fare tutto con una certa premura; occorre che io vada a Parigi.”
“Ah davvero? A Parigi? É la prima volta che ci andate, Dantès?”
“Sì.”
“Ci andate per affari?”
“Non per conto mio; è un'ultima commissione del nostro capitano Leclère da adempiere; voi capirete, Danglars, che questa è cosa sacra. D'altronde, state tranquillo che ci metterò solo tempo necessario per l'andata e il ritorno.”
“Sì, sì capisco - disse ad alta voce Danglars, poi soggiunse fra sé abbassando la voce - a Parigi, senza dubbio, per consegnare la lettera che gli consegnò il Capitano. Ah, perbacco! Questa lettera mi fa nascere un'idea, un'eccellente idea, perbacco! Signor Dantès, amico mio, non hai ancora dormito a bordo del Pharaon nella cabina numero 1. - poi, volgendosi a Edmond che già si allontanava - Buon viaggio!” gli gridò dietro.
“Grazie...” rispose Edmond girandosi indietro con un gesto amichevole. Quindi i due innamorati continuarono la loro strada felici e tranquilli come due anime che salgono al cielo.
Vi ricordo il link al terzo capitolo completo:
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.it/2015/04/capitolo-iii-i-catalani.html

A presto!

martedì 7 aprile 2015

I catalani (II)

Eccoci con la seconda parte del terzo capitolo. Mi raccomando, non dimenticate di darci i vostri consigli e pareri!

Si lanciò verso la porta e aprì gridando:
“Vieni, Edmond, eccomi!”
Fernand indietreggiò pallido e fremente, come fa un viaggiatore alla vista di un serpente e, urtando nella cassa, ci ricadde a sedere. Edmond e Mercedes erano tra le braccia l'una dell'altro. Il sole ardente di Marsiglia, che penetrava attraverso l'apertura della porta, li inondava in un torrente di luce. Sulle prime non videro niente di ciò che li circondava: una felicità immensa li isolava da questo mondo; non si parlavano che con quelle parole tronche che sono lo slancio della gioia più pura, così istintive e naturali da sembrare espressioni di dolore.
Ad un tratto Edmond scorse nell’ombra la figura pallida e minacciosa di Fernand; con un moto di cui egli stesso forse non si era accorto, il catalano aveva messo la mano sul coltello alla cintura.
“Scusate - disse Dantès inarcando le sopracciglia - non avevo notato che eravamo in tre.”
Poi volgendosi a Mercedes domandò:
“Chi è questo signore?”
“Sarà il tuo migliore amico, perché è il mio. È mio cugino e mio fratello, è Fernand, l'uomo che dopo di te, Edmond, amo di più su questa terra.”
Edmond, senza abbandonare Mercedes di cui teneva una mano, stese con un movimento di cordialità l'altra mano al catalano. Ma Fernand, invece di corrispondere al gesto amichevole, restò muto e immobile come una statua. Allora Edmond posò il suo sguardo sospettoso prima su Mercedes, commossa e tremante, poi su Fernand cupo e minaccioso. Questo solo sguardo gli fece tutto comprendere. La collera salì alla sua fronte.
“Non sarei venuto con tanta fretta da te, Mercedes, se avessi saputo di trovarci un nemico.”
“Un nemico! - esclamò Mercedes rivolgendo uno sguardo preoccupato al cugino - un nemico in casa mia tu dici, Edmond? Se lo credessi, ti darei subito il mio braccio e me ne andrei a Marsiglia, abbandonando questa casa per non riporvi mai più il piede.”
L'occhio di Fernand ebbe un lampo.
“Se ti accadesse una disgrazia, mio Edmond - continuò lei con lo stesso implacabile sangue freddo, che provava a Fernand che la ragazza aveva saputo leggere fin nel profondo dei suoi sinistri pensieri - se ti accadesse qualche disgrazia, salirei sul capo di Morgiou e mi getterei sugli scogli con la testa in avanti.”
Fernand divenne spaventosamente pallido.
“Ma tu ti sbagli, Edmond - continuò ancora - tu qui non hai nemici: qui non c'è che Fernand, mio fratello, che ti stringerà cordialmente la mano, come ad un amico.”
A queste parole la ragazza fissò il suo sguardo imperioso sul catalano che, come stregato da questo sguardo, si accostò lentamente a Edmond e gli tese la mano. Il suo odio, pari ad un’onda impotente per quanto furiosa, si infranse contro l'ascendente che questa donna esercitava su lui. Ma appena ebbe toccata la mano di Edmond, sentì di aver fatto tutto ciò che poteva e, slanciandosi fuori della capanna correndo come un insensato e intrecciandosi le mani nei capelli esclamava:
“Oh, chi mi libererà da quest'uomo? Povero me! Povero me!”

 “Ehi, catalano! Ehi, Fernand, dove corri?” disse una voce.
Il giovane si fermò, si guardò intorno riconobbe Caderousse seduto a tavola con Danglars sotto un pergolato di foglie di vite.
“Ehi! - disse Caderousse - Perché non vieni qui? Hai così tanta fretta da non avere il tempo di dire buongiorno agli amici?”
“Soprattutto quando hanno una bottiglia quasi piena davanti…” soggiunse Danglars.
Fernand guardò quei due uomini con occhi assenti e non rispose nulla.
“Sembra proprio stordito - disse Danglars, urtando il ginocchio di Caderousse. - possibile che ci siamo sbagliati e che Dantès trionfi in barba a quanto previsto?”
“Diavolo, dobbiamo saperlo! - disse Caderousse e, volgendosi verso il catalano - ebbene, ti decidi?” Fernand asciugò il sudore che gli grondava dalla fronte ed entrò lentamente sotto il pergolato. L'ombra sembrava restituire un po' di calma ai suoi sensi e la freschezza un poco di sollievo al corpo spossato.
“Buongiorno – disse - Mi avete chiamato, non è vero?”
E fu piuttosto un cadere che un sedersi il suo, su di una delle panche attorno alla tavola.

“Ti ho chiamato perché correvi come un pazzo, e perché ho avuto paura che andassi a gettarti in mare - disse ridendo Caderousse - che diavolo! Quando uno ha degli amici, non è soltanto per offrir loro un bicchiere di vino, ma anche per impedirgli di andare a bere tre o quattro pinte d'acqua.”
Fernand mandò un gemito che sembrava un singhiozzo e lasciò cadere la testa sopra le braccia incrociate sulla tavola.
“Ebbene! Vuoi che lo dica io, Fernand - riprese Caderousse intavolando la conversazione con quella villana brutalità della gente del popolo, alla quale la curiosità fa dimenticare ogni specie di diplomazia - hai l'aria di un amante sconfitto.” E accompagnò questo scherzo con una forte risata.
“Balle - intervenne Danglars - un giovanotto dotato della sua forza non è fatto per essere sconfitto in amore; tu ti prendi gioco di lui, Caderousse.”
“Niente affatto - riprese l’altro - non senti come sospira? Coraggio, Fernand - disse Caderousse - alza in alto il naso e rispondi. È scortese non rispondere agli amici che ti chiedono come stai.”
“La mia salute va bene” disse Fernand stringendo i pugni, ma senza alzare la testa.
“Ah, vedi, Danglars - disse Caderousse, strizzando un occhio all'amico - ecco com’è la faccenda: Fernand, che vedi qui, e che è un buono e bravo catalano, uno dei migliori pescatori di Marsiglia, è innamorato di una bella ragazza che si chiama Mercedes, ma sfortunatamente sembra che la bella ragazza sia innamorata del secondo del Pharaon. E siccome questo battello è entrato oggi stesso nel porto, tu capisci...”
“No, io non capisco niente” disse Danglars.
“Il povero Fernand avrà ricevuto il suo congedo.”
“E quindi? - disse Fernand alzando la testa e guardando Caderousse come in cerca di qualcuno con cui
sfogare la sua collera - Mercedes non dipende da nessuno, non è vero? Dunque è libera di amare chi vuole.”
“Ah! Se tu la prendi così - disse Caderousse - è tutta un’altra cosa. Ti credevo un catalano, e mi era stato detto che i catalani non si lasciano soppiantare da un rivale, e che specialmente Fernand fosse un uomo terribile nella vendetta.”
Fernand sorrise con un sorriso di pietà.
“Un innamorato non è mai terribile” disse.
“Povero ragazzo - riprese Danglars, fingendo di compiangerlo dal più profondo dell'anima - che vuoi tu? Lui non si aspettava di vedere ritornare Dantès così presto. É forse infedele, o altro? Queste cose sono tanto più sconvolgenti quanto più ci accadono all’improvviso, e senza che ce le aspettassimo.”
“In fede mia - disse Caderousse che beveva parlando, e su cui il vino di Malaga cominciava a fare il suo effetto - Fernand non è il solo che viene afflitto dal felice arrivo di Dantès. Non è vero, Danglars? Non importa – aggiunse versando un bicchiere di vino a Fernand e riempiendo il proprio per l'ottava o decima volta, mentre Danglars aveva appena assaggiato il suo - non importa, e nel frattempo lui si sposa Mercedes: almeno ritorna per questo.”
Danglars fissava uno sguardo scrutatore per scoprire cosa provasse il cuore del giovane, sul quale le parole di Caderousse cadevano come piombo liquido.
“E quando si faranno le nozze?” domandò.
“Oh, non sono ancor fatte…” mormorò Fernand.
“No, ma si faranno - disse Caderousse - così come Dantès sarà capitano del Pharaon. Non è così, Danglars?”
Danglars rabbrividì a questo colpo inatteso e si voltò verso Caderousse per capire se era stato premeditato, ma non lesse che invidia, su quel viso fattosi quasi ebete dall'ubriachezza.
“Ebbene - disse, riempiendo i bicchieri - beviamo dunque alla salute del capitano Edmond Dantès, marito della catalana!” 
Caderousse portò il bicchiere alla bocca e con mano pesante lo tracannò in un fiato. Fernand prese il suo e lo ruppe gettandolo a terra. "Eh! eh! eh! - disse Caderousse - cosa vedo sull'alto del promontorio, laggiù, verso i Catalani? Guarda tu, Fernand, che hai una vista migliore della mia; credo di cominciare a veder doppio, sai che il vino è un traditore... Si direbbe che i due amanti passeggino, tenendosi vicini vicini!”

Qui il link al capitolo completo.
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.it/2015/04/capitolo-iii-i-catalani.html
Alla prossima...

domenica 5 aprile 2015

I catalani (I)

Eccoci, dopo lungo tempo, con l'inizio del nuovo capitolo: i catalani! Mi raccomando segnalateci errori e consigli!
Chiediamo scusa se tardiamo a rispondere alle email, ogni tanto...

A cento passi dalla locanda dove i due amici bevevano lo spumoso vino di Lama lgue, con occhi e orecchie aperti, si trovava il piccolo villaggio dei Catalani, dietro ad un’altura spoglia e arida, per il sole e per il soffiare del maestrale.
Tempo prima, una colonia misteriosa partì dalla Spagna e giunse fino alla lingua di terra che abita ancora oggi. Non si sapeva da dove arrivasse e parlava una lingua sconosciuta. Uno dei capi, che capiva il provenzale, domandò alla Comune di Marsiglia di ceder loro quel promontorio, su cui avevano ritirato le navi come gli antichi marinai. La loro domanda fu accolta e tre mesi dopo si trovava un piccolo villaggio attorno ai dodici o quindici bastimenti che quegli stessi uomini avevano portato a terra. Il villaggio, costruito in modo bizzarro e pittoresco, di stile metà morisco e metà spagnolo, è quello che oggi è abitato dai lor discendenti, che ancora parlano ancora la lingua dei padri. Anche dopo tre o quattro secoli sono rimasti fedeli al piccolo promontorio in cui si erano imbattuti come uno stormo di uccelli di mare, senza mischiarsi alla popolazione marsigliese, sposandosi sempre tra loro e conservando usi e costumi della loro madre patria, così come ne hanno conservato la lingua. Ci seguano ora i nostri lettori attraverso una strada di questo villaggio ed entrino con noi in una di queste case, alle quali il sole ha dato all’esterno il bel colore delle foglie d’autunno come ai monumenti del paese, e all’interno uno strato di tinta gialla che forma l'unico ornamento delle Posadas spagnole. Una bella ragazza dai capelli neri come l'ebano e gli occhi liquidi di una gazzella stava in piedi e, appoggiata ad un tramezzo, sfrondava tra le sue dita sottili di disegno antico una tenera erica di cui strappava i fiori, già sparsi in parte a terra; le sue braccia nude fino al gomito, brune ma che sembravano modellate su quelle della Venere d'Arles, fremevano con impazienza febbrile, e lei batteva a terra il piede agile e inarcato, in modo da fare trasparire la forma pura e superba della gamba, ornata da un calza di cotone rosso a rombi grigi e azzurri. A tre passi da lei, sopra una cassa, c’era un robusto giovane di venti-ventidue anni che si dondolava con un movimento rozzo, con il gomito appoggiato ad un vecchio mobile tarlato, che la guardava con un'aria da cui si intuiva l'interno contrasto tra l'inquietudine e il dispetto.
I suoi occhi interrogavano; ma lo sguardo fermo e fisso della ragazza dominava il suo interlocutore. “Vediamo, Mercedes - diceva il giovane - fra poco sarà Pasqua, ecco un ottimo periodo per un matrimonio.”
“Vi ho risposto cento volte, Fernand, e dovete proprio volervi male ed essere nemico di voi stesso farmi ancora questa domanda.”
“Ebbene, ripetetelo ancora, vi prego, ripetetelo ancora, per convincermi; ditemi per la centesima volta che rifiutate il mio amore, malgrado l'approvazione di vostra madre; assicuratemi ancora una volta che vi prendete gioco della mia felicità, che la mia vita e la mia morte non valgono niente per voi. Ah, mio Dio! Aver sognato per dieci anni di essere vostro sposo, Mercedes, e perdere questa speranza, che era l’unico obiettivo della mia vita!”
“Ma io non ho mai incoraggiato questa speranza, Fernando - rispose Mercedes - non vi ho nemmeno mai fatto neanche un complimento. Vi ho sempre detto: "Io vi amo come un fratello, ma non desiderate mai da me altro, se non questa amicizia fraterna, poiché nel mio cuore c’è un altro!". Non vi ho sempre detto così, Fernand?”
“Sì, lo so bene, Mercedes - rispose il giovane - vi siete compiaciuta nei miei confronti del merito crudele della vostra franchezza. Ma dimenticate che c’è fra i catalani una legge sacra, che ordina di sposarci tra di noi.”
“V'ingannate, Fernand: non è una legge, ma una consuetudine, ecco tutto! Credetemi, non vi giova invocare questa consuetudine! Siete arruolato, la libertà che avete non è che semplice tolleranza. Da un momento all'altro potete essere chiamato al servizio militare e, una volta soldato, che fareste di me? Che fareste di una povera orfanella infelice, senza beni, che possiede solo una capanna quasi in rovina, a cui è attaccata qualche rete usata, miserabile eredità lasciata da mio padre a mia madre, e da mia madre a me? Da un anno è morta, pensate, Fernand, e io vivo quasi di pubblica carità. Qualche volta fingete che io vi sia utile, solo per darmi il diritto di dividere la vostra pesca; io accetto, perché siete il figlio del fratello di mio padre, perché noi siamo stati allevati assieme e, soprattutto, perché vi darei troppo dispiacere se rifiutassi. Ma capisco bene che il pesce che vado a vendere e dal quale traggo il denaro per comprare la canapa che filo, Fernand, altro non è che elemosina.”
“E che importa, Mercedes! Così povera e sola come siete mi piacete assai più che la figlia del più superbo armatore, o del più ricco banchiere di Marsiglia. Cosa desidero? Una donna onesta ed atta alle faccende domestiche. Chi potrei trovar meglio di voi da questo punto di vista?”
“Fernand - rispose Mercedes scuotendo la testa - si diventa incapaci nelle faccende domestiche e non si può garantire di restare una moglie per bene quando si ama un altro uomo, che non è il marito. Accontentatevi della mia amicizia perché, ve lo ripeto, è tutto quello che posso promettervi, e io non prometto che quanto sono sicura di mantenere.”
“Sì, lo capisco. Voi sopportate pazientemente la vostra miseria, ma avete paura della mia. Ebbene, Mercedes, se mi amerete tenterò la fortuna; voi mi porterete felicità, ed io diventerò ricco. Posso migliorare il mio stato di pescatore, posso entrare come commesso in una banca, posso diventare negoziante.”
“Voi non potete tentare niente di tutto ciò, Fernand: voi siete soldato! Se siete ancora qui, ai Catalani, è perché non c’è guerra; restate dunque pescatore, non fate sogni che renderebbero ancora più terribile la realtà, e accontentatevi della mia amicizia, perché io non posso darvi altro.”
“Avete ragione, Mercedes… sarò un marinaio! Avrò, invece del costume dei nostri padri, che disprezzate, un cappello col fiocco, una camicia a righe e una giacca azzurra con le ancore sui bottoni... Non è così che bisogna essere vestito per piacervi?”
“Cosa volete dire? - domandò Mercedes con uno sguardo imperioso – Cosa volete dire? Non vi capisco.”
“Voglio dire, Mercedes, che siete così inflessibile e crudele con me perché aspettate qualcuno vestito così. Ma quello che voi aspettate è incostante; e se non lo è, il mare lo è per lui.”
“Fernand! - esclamò Mercedes - io vi credevo buono e mi sono ingannata! Avete un cuore cattivo, invocate solo per la vostra gelosia la collera di Dio. Ebbene sì, non vi nascondo nulla, aspetto e amo colui che dite e se non tornerà, invece di accusarlo di incostanza, dirò che è morto amandomi.”
Il giovane Catalano fece un gesto di rabbia.
“Vi capisco, Fernand. Ve la prendereste con lui perché non vi amo, incrocereste il coltello catalano col suo pugnale. Ma cosa ci guadagnereste? Perdereste la mia amicizia uscendo sconfitto e vedreste cambiarsi in odio la mia amicizia uscendo vincitore. Credetemi, sfidare a duello un uomo è un pessimo mezzo per piacere alla donna che ama quell'uomo. No, Fernand, voi non vi lascerete trasportare da così perversi pensieri; se non potete avermi in moglie, vi accontenterete di avermi amica e sorella. D'altronde - aggiunse commossa e con gli occhi bagnati dalle lacrime - aspettate, aspettate, Fernand, lo avete detto or ora: il mare è perfido e sono già quattro mesi che si susseguono burrasche su burrasche!”
Fernand restò impassibile. Non cercò di asciugare le lacrime che scorrevano sulle guance di Mercedes, anche se avrebbe dato una libbra del suo sangue per ciascuna di quelle lacrime che scorrevano per un altro. Si alzò, fece un giro nella capanna, ritornò, si fermò davanti a Mercedes con lo sguardo cupo e con i pugni fortemente serrati.
“Vediamo, Mercedes – disse – ditemi, ancora una volta... Avete deciso?”
“Io amo Edmond Dantès - disse freddamente la ragazza - e nessuno se non Edmond sarà il mio sposo!”
“E lo amerete per sempre?”
“Finché avrò vita!”
Fernand chinò la testa scoraggiato ed emise un sospiro che sembrò un gemito. Ad un tratto, alzando la fronte, coi denti serrati e le narici socchiuse:
“Ma se è morto?”
“Se è morto, morirò anch’io!”
“E se vi dimentica?”
“Mercedes! - esclamò una voce felice proveniente dall’esterno della capanna - Mercedes!”
“Ah - esclamò la ragazza arrossendo di gioia, esultando d'amore - vedi bene che non mi ha dimenticata, eccolo qua!” 
Mercedes versione uno: innamorata di Dantès.

giovedì 13 novembre 2014

Padre e figlio (III)

Ed infine l'ultima parte del secondo capitolo. Come al solito siamo aperti a consigli e correzioni... non esitate!

«Ebbene - disse Danglars - l'hai visto? »
«Ci siamo appena incontrati. »
«Ti ha parlato della sua speranza di diventare capitano? »
«Parla come se già lo fosse. »
«Pazienza, pazienza! - disse Danglars - Mi sembra che fantastichi un po’ troppo. »
«Diavolo! Sembra che il posto gli sia stato promesso dal signor Morrel in persona. »
«Sarà contento per quello. »
«Cioè, è molto insolente. Mi ha già offerto aiuto come se fosse un personaggio importante, e pure denaro in prestito, come se fosse un banchiere. »
«E tu avrai rifiutato. »
«Certamente, anche se avrei potuto accettare; sono stato io che gli ho messo fra le mani le prime monete bianche che ha toccato; ma Dantès non avrà più bisogno di nessuno adesso che diventerà capitano. »
«Balle! - disse Danglars - Non lo è ancora. » 
«In fede mia sarebbe una bella cosa non lo diventasse più - disse Caderousse - altrimenti non ci sarebbe più modo di potergli parlare. »
«Se lo vogliamo veramente - disse Danglars - resterà ciò che è, e forse diventerà ancora meno di quello che è. »
«Che stai dicendo? »
«Niente, parlavo tra me e me. È sempre innamorato della catalana? »
«Innamorato pazzo; è andato da lei. Mi sbaglierò, ma secondo me avrà dei dispiaceri su quel fronte. »
«Spiegati. »
«E perché? »
«È più importante di quello che credi. Di certo non ami Dantès alla follia. »
«Io non amo gli arroganti. »
«Allora raccontami ciò che sai sulla catalana. »
«Nulla di certo, ho soltanto visto alcune cose che mi fanno credere, come ti dicevo, che il futuro capitano avrà dei dispiaceri nei dintorni delle Vieilles-infirmeries. »
«E cosa hai visto? Dai, dimmelo. »
«Ebbene, ho visto che tutte le volte che entra in città, Mercedes è accompagnata da un robusto e minaccioso catalano dagli occhi neri, la pelle rossa, molto scuro, ardentissimo, e che lei chiama mio cugino. »
«Ah, veramente? E credi che questo suo cugino le faccia la corte? »
«Immagino. Che diavolo vuoi che faccia un ragazzo di ventun anni con una bella ragazza di diciassette? »
«E dici che Dantès è andato dai Catalani? »
«È uscito da casa sua poco prima di me. »
«Se andiamo dalla quella parte ci possiamo fermare alla Réserve di Papà Pamphile e aspettare notizie bevendo un bicchiere di vino di Malaga.»
«E chi ce le porterà? »
«Staremo sulla sua strada, e leggeremo sul viso di Dantès ciò che sarà successo. »
«Andiamo... - disse Caderousse – offri tu, vero? »
«Certamente... » rispose Danglars.
Ed entrambi si incamminarono con passo svelto verso il luogo indicato. Giunti là si fecero portare una bottiglia e due bicchieri. Papà Pamphile aveva visto passare Dantès neanche dieci minuti prima.
Sicuri che Dantès fosse dai Catalani, si sedettero all’ombra dei platani e delle piante di sicomori, sui cui rami un gioioso gruppetto di uccelli salutava i primi giorni della primavera.

Ecco il link al secondo capitolo (ora completo)
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.it/2014/08/capitolo-ii-padre-e-figlio.html
A presto!

martedì 11 novembre 2014

Padre e figlio (II)


Eccoci (dopo lunga pausa) con la seconda parte del secondo capitolo. Buona lettura e fateci sapere se avete consigli e cosa ne pensate!


Infatti, mentre Edmond terminava sottovoce la frase, comparve sulla porta la testa nera e barbuta di Caderousse. Era un uomo di venticinque-ventisei anni. Aveva fra le mani un pezzo di panno che, da buon sarto, preto avrebbe trasformato nei risvolti di un abito.
“Ah, eccoti dunque di ritorno, Edmond!” disse in un marcato accento marsigliese con un largo sorriso che mostrava dei bellissimi denti bianchi come l'avorio.
“Come vedi, vicino Caderousse, e pronto a servirti in qualunque cosa” rispose Dantès, mal dissimulando la freddezza con cui si propose.
“Grazie, grazie. Fortunatamente non ho bisogno di nulla, anzi qualche volta sono gli altri che hanno bisogno di me.”
Dantès ebbe un moto d’impazienza.
“Non mi riferisco a te, giovanotto: ti ho prestato del denaro e tu me lo hai reso, come si fa tra buoni vicini ora siamo pari.”
“Non si è mai pari chi ci ha aiutati - disse Dantès - quando non gli si deve più danaro gli si deve riconoscenza.”
“Perché parlarne ancora? Il passato è passato, parliamo invece del tuo felice ritorno. Ero andato al porto per cercare del panno color marrone, quando ho incontrato l'amico Danglars.
"“Tu! A Marsiglia?” gli dissi.
“Si, io stesso” rispose.
“Ti credevo a Smirne!”
“In effetti sarei potuto ancora esserci, a Smirne; vengo da lì.”
“E Edmondo? Dov'è quel bravo ragazzo?”
“Sarà di sicuro da suo padre” rispose Danglars.”
E allora mi sono precipitato qui per stringere la mano ad un amico.”
“Il nostro buon Caderousse - disse il vecchio - ci vuole davvero bene!”
“Certamente vi amo e vi stimo anche, tanto più che gli uomini onesti sono così rari... Ma sembra tu sia tornato ricco...” continuò il sarto, gettando uno sguardo fulmineo all'oro e all'argento che Dantès aveva messo sul tavolo.
Al giovane marinaio non sfuggì il lampo di cupidigia del suo vicino.
“Eh, mio dio - disse con noncuranza - questo danaro non è mio; avevo paura che in mia assenza fosse mancato qualcosa a mio padre ed egli, per rassicurarmi ha svuotato la sua borsa sul tavolo. Andiamo, padre - continuò Dantès - rimettete i soldi nel cassetto, a meno che il vicino Caderousse non ne abbia a sua volta bisogno; nel caso è sempre a sua disposizione.”
“No, giovanotto - disse Caderousse - non ho bisogno di niente. Grazie a dio lo status mantiene l'uomo... Conserva il danaro, conservalo, perché non è mai troppo! Comunque ti ringrazio per l’offerta, come se ne avessi approfittato.”
“Veniva dal cuore...” disse Dantès. 
“Non ne dubito. Ebbene, va sempre meglio con il signor Morrel, furbetto!”
“Il signor Morrel è sempre molto generoso per me...” rispose Dantès.
“In questo caso tu hai fatto male a rifiutare il suo pranzo.”
“Come, rifiutare il suo pranzo! - esclamò il vecchio - Ti aveva invitato a pranzo?”
“Sì, padre mio” rispose Edmondo sorridendo per la meraviglia di suo padre al sentire l’onore che gli aveva fatto il signor Morrel.
“E perché dunque hai rifiutato, figlio mio?” domandò il vecchio.
“Per ritornare il più presto possibile da voi, padre - rispose il giovane – volevo rivedervi.”
“Però sarà dispiaciuto a quel buon uomo del signor Morrel. - disse Caderousse - quando uno aspira a diventare il capitano, sbaglia a non fare la corte al suo armatore.”
“Gli ho spiegato la causa del mio rifiuto - rispose Dantès - e sono certo che l'ha compresa.”
“Ah, per diventare il capitano bisogna assecondare un po’ di più i padroni.”
“Spero di diventare capitano anche facendone a meno.”
“Tanto meglio, tanto meglio; farà piacere ai tuoi vecchi amici. So che c’è qualcuno laggiù dietro alla Cittadella di San Nicola che ne sarà molto contento.”
“Mercedes?” chiese il vecchio.
“Sì, padre mio - disse Dantès - e con il vostro permesso, ora che vi ho rivisto e so che state bene e anche  che avete tutto ciò di cui avete bisogno, vi chiederei il permesso di fare una visita ai Catalani.”
“Vai, figlio mio, vai - disse il vecchio Dantès - e Dio benedica te con la tua donna, come ha benedetto me con mio figlio!”
“Sua donna? - disse Caderousse - Voi esagerate forse un po’, papà Dantès; non credo lo sia ancora.”
“No - rispose Edmondo - ma non ci vorrà troppo perché lo diventi!”
“Non importa, non importa - disse Caderousse – sei arrivato in tempo.”
“E perché?”
“Perché Mercedes è una bella ragazza, e alle belle ragazze non mancano i pretendenti, soprattutto a lei! La seguivano a dozzine!”
“Davvero?” disse Edmond con un sorriso sotto cui si intravedeva un'ombra di inquietudine.
“Oh sì! - rispose Caderousse - E anche dei bei partiti! Ma lo capisci? Diventa capitano e non potrà rifiutarti.”
“Il che significa - disse Dantès con un sorriso non nascondeva affatto la sua inquietudine - che se io non diventassi capitano...”
“Eh! eh!” esclamò Caderousse.
“Andiamo, andiamo… -disse il giovane – mi fido più di voi delle donne, in generale, e soprattutto di Mercedes: sono convinto che, capitano o no, lei mi resterà ugualmente fedele.”
“Tanto meglio! Tanto meglio! - disse Caderousse. - É sempre una buona cosa che quando si sposano i giovani siano forniti di buona fede, ma non serve, credimi Dantès, non perdere tempo e corri a dirle che sei tornato e a informarla delle tue speranze.”
“Vado!” disse Edmond.
Abbracciò suo padre, salutò con un cenno della testa Caderousse e partì.
Il vicino rimase ancora un attimo poi, salutato il vecchio Dantès, se ne andò a sua volta e raggiunse Danglars, che lo aspettava all'angolo della rue Senac.

Ricordiamo il link al secondo capitolo
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.de/2014/08/capitolo-ii-padre-e-figlio.html
A presto! (aspettare e sperare...)

giovedì 14 agosto 2014

Padre e figlio (I)

Iniziamo con il secondo capitolo del romanzo!
Ecco il lavoro fatto fino ad ora. Non esitate a farci sapere cosa ne pensate, ovviamente.

Lasciamo Danglars che, alle prese col genio dell'odio, cerca di gettare all'orecchio del suo armatore qualche maligna supposizione contro il suo compagno e seguiamo invece Dantès che, dopo aver percorso la Canebière in tutta la sua lunghezza, prende la rue Noaille, entra in una piccola casa situata sul lato sinistro dei viali di Meillan, sale velocemente i quattro piani di una scala oscura, tenendosi con una mano alla ringhiera e cercando di trattenere i battiti del cuore con l'altra, e infine si ferma davanti a una porta socchiusa che lascia vedere una piccola camera.
Quella era la camera del padre di Dantès.
La notizia dell'arrivo del Pharaon non era ancora giunta al vecchio che, sopra una cassa, era occupato a piantare delle cannucce su cui sistemava con mano tremante nasturzi misti a clematidi che si arrampicavano lungo la pergola della finestra.
Ad un tratto si sentì circondare il corpo da due braccia e una voce ben conosciuta gridare da dietro
«Padre! Mio buon padre!»
Il vecchio gettò un grido e si voltò; poi, vedendo il figlio, si lasciò cadere tra le sue braccia tutto tremante e pallido.
«Che avete dunque, padre? - chiese commosso il giovane - siete ammalato?»
«No, mio caro Edmond, no; ma non ti aspettavo. E la gioia, la sorpresa di rivederti così all'improvviso... mio Dio!... mi sembra di morire!»
«Coraggio, rimettetevi, padre. Sono io, proprio io. Si dice sempre che la gioia non nuoce ed è per questo che sono entrato così, senza avvisarvi; guardatemi, sorridetemi, invece di osservarmi con occhi spaventati. Io sono tornato, e noi saremo felici!»
«Ah, tanto meglio, figlio - riprese il vecchio - ma in che modo potremo? Non mi lascerai più? Vediamo, raccontami quale fortuna ti è capitata!»
«Che il Signore mi perdoni - disse il giovane - di rallegrarmi di una fortuna che faccio con il lutto di una famiglia: ma Dio sa che non ho voluto io questa fortuna! Questo mi è capitato e io non ho la
forza di dispiacermene. Il buon capitano Leclère è morto ed è probabile che con il favore del signor Morrel io ottenga il suo posto... Capitano a vent'anni! Con cento luigi di stipendio ed una provvigione sul carico! Non è molto più di quanto potesse sperare un povero marinaio come me?»
«Sì, figlio mio, sì, infatti questa è una gioia.»
«E perciò voglio che con i primi soldi che guadagnerò voi abbiate una casetta con giardino per piantare le vostre clematidi, i vostri nasturzi ed il vostro caprifoglio. Ma cosa avete, padre? Sembra che state male!"
«Tranquillo, tranquillo, non è niente.»
E, mancandogli le forze, il vecchio cadde.
«Vediamo, vediamo - disse il giovane - un bel bicchiere di vino vi rianimerà, caro padre. Dove tenete il vino?»
«No, grazie, non lo cercare, non ne ho bisogno» disse il vecchio, tentando di trattenere il figlio.
«Lasciate fare, lasciate fare, padre.»
Ed aprì due o tre armadi.
«É inutile - disse il vecchio - non c'è più vino.»
«Come, non c'è più vino - disse Dantès impallidendo a sua volta e guardando prima l'una e l'altra delle guance smunte e increspate del vecchio e poi gli armadi vuoti - come non c'è più vino! Siete rimasto senza denaro, padre?»
«Non sono rimasto privo di nulla, perché tu sei qui.»
«Ma - balbettò Dantès asciugandosi il sudore che freddo gli colava dalla fronte - avevo lasciato duecento franchi, alla partenza, tre mesi fa.»
«Si, sì, Edmond, è vero, ma avevi dimenticato nel partire un piccolo debito con il vicino Caderousse; me lo ha ricordato, dicendomi che se non avessi pagato io per te, sarebbe andato a farsi pagare dal signor Morrel. Allora capisci... per paura che ti compromettesse...»
«Quindi?»
«Quindi ho pagato io per te.»
«Ma - esclamò Dantès - il mio debito con Caderousse era di 140 franchi! E li avete pagati con i duecento franchi che vi ho lasciato?»
Il vecchio fece un segno affermativo con la testa.
«Ma allora avete vissuto - mormorò il giovane - per tre mesi con solo sessanta franchi!»
«Sai di quanto poco io abbia bisogno e di come mi accontenti.»
«Oh mio Dio! Mio Dio! Padre, perdonatemi!» esclamò Edmond, gettandosi ai piedi del buon vecchio.
«Che fai adesso?»
«Ah, mi avete trafitto il cuore!»
«Tu sei qui - disse il vecchio sorridendo - ora tutto è dimenticato, tu stai bene.»
«Sì, io sono qui; eccomi con un buon futuro davanti e con un po' di denaro. Prendete, padre – disse - prendete e inviate subito qualcuno a comprare quello che vi serve.»
E vuotò sulla tavola la borsa che conteneva una dozzina di monete d'oro, cinque o sei scudi da cinque franchi e degli spiccioli.
Il viso del vecchio si turbò.
«Di chi è quel denaro?»
«Mio, tuo, nostro, prendete: comprate delle provviste e state felice, domani ve ne sarà dell'altro.»
«Con calma, con calma - disse il vecchio sorridendo – con il tuo permesso farò uso della borsa, ma con moderazione. Se la gente mi vedesse fare grandi provviste direbbe che ero obbligato ad aspettare il tuo ritorno per fare acquisti.»
«Fate come vi aggrada, ma prima di ogni altra cosa assumete una persona di servizio, non voglio più che usciate di casa solo. Ho del caffè, e dell'eccellente tabacco di contrabbando in una cassetta nel fondo della stiva; ve la porto domani. Ma silenzio, sento arrivare qualcuno.»
«Sarà Caderousse che, avendo saputo del tuo arrivo, viene a salutare.»
«Bene, ecco altre labbra che dicono cose che non pensa il cuore. Ma – mormorò Edmond - è pur sempre un vicino che ci ha reso un favore; che sia il benvenuto!»


Ecco il link al secondo capitolo
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.de/2014/08/capitolo-ii-padre-e-figlio.html

A presto!

sabato 9 agosto 2014

Marsiglia - L'arrivo (III)

Ecco la conclusione del primo capitolo del romanzo.. fateci sapere cosa ne pensate!!

era Policarpo Morrel, mio zio, che divenne capitano; Dantès, dite a mio zio che l'Imperatore si è ricordato di lui e vedrete piangere quel vecchio brontolone. Andiamo, andiamo - continuò il vecchio armatore battendo amichevolmente la mano sulla spalla del giovane -
voi avete fatto bene ad eseguire le istruzioni del capitano Leclère e fermarvi all'isola d'Elba, anche se, se si venisse a sapere che voi avete consegnato un plico al Maresciallo e parlato coll'Imperatore, il fatto potrebbe senza dubbio compromettervi.>>
<<Come volete voi che ciò comprometta - disse Dantès - io non so neppure ciò che ho consegnato e l'Imperatore non mi ha fatto che quelle domande, che avrebbe posto al primo arrivato... Ma scusate - riprese Dantès - ecco la Sanità e la Dogana che giungono. Voi permettete, non è vero?>>
<<Fate, fate pure, mio caro Dantès.>>
Il giovane si allontanò, e mentre si allontanava, Danglars si accostava.<<Ebbene - chiese - ha addotto buone ragioni sulla sua fermata a Portoferraio?>>
<<Eccellenti, mio caro Danglars.>>

<<Ah, tanto meglio - rispose questi - perché è sempre cosa spiacevole vedere un compagno che non fa il proprio dovere.>>
<<Dantès ha fatto il suo - rispose l'armatore - e non c'è nulla da ridire. Fu il capitano Leclère ad ordinargli questa fermata.>>

<<A proposito del capitano Leclère, vi ha consegnato una sua lettera?"
<<A me? No. Ne aveva da consegnarmi?>>
<<Credevo che oltre al plico, il capitano Leclère gli avesse affidato una lettera.>>
<<Di quale plico parlate?>>
<<Di quello che Dantès ha lasciato nella visita a Portoferraio.>>
<<E come sapete che aveva un plico per Portoferraio?>>
Danglars arrossì.

<<Passavo davanti alla porta del capitano, che era socchiusa, e lo vidi consegnare a Dantès il plico e la lettera.>>
<<Non me ne ha parlato - disse l'armatore - ma se ha questa lettera, me la consegnerà.>>
Danglars rifletté un istante.

<<Allora, signor Morrel, vi prego - disse - di non parlarne a Dantès; mi sarò ingannato.>>
In quel momento il giovane fece ritorno e Danglars si allontanò.

<<Ebbene, mio caro Dantès, siete libero?>> domandò l'armatore.
<<Sì, signore.>>
<<La cosa non è stata lunga.>>
<<No, ho consegnato alla Dogana la lista delle vostre mercanzie; e, quanto alla consegna, è arrivato con il pilota costiero un uomo a cui ho consegnato le mie carte.>>
<<Allora non avete più niente a fare qui?>>
Dantès gettò uno sguardo rapido intorno a sé.

<<No, qui tutto è in ordine.>>
<<Potete dunque venire a pranzo con noi?>>
<<Scusatemi, signor Morrel, scusatemi, ve ne prego, ma la prima visita la devo a mio padre. Non sono però meno riconoscente per l'onore che mi fate.>>
<<É giusto, Dantès, è giusto: so che siete un buon figlio.>>
<<E... - domandò Dantès con una certa esitazione, - sta bene mio padre, che voi sappiate?>>
<<Io credo di sì, mio caro Edmondo, anche se non l'ho visto di persona.>>
<<Sì, si tiene ritirato nella sua stanzetta.>>
<<Ciò prova, per lo meno, che non ha avuto bisogno di nulla durante la vostra assenza.>>
Dantès sorrise.

<<Mio padre è altero, signore, e anche nel caso fosse stato sprovvisto di tutto, non avrebbe chiesto nulla a nessuno, eccetto che a Dio.>>
<<Ebbene, dopo questa prima visita, noi contiamo su voi.>>
<<Scusatemi di nuovo, signor Morrel, ma dopo questa prima visita, io ne farò un'altra che non mi sta meno a cuore.>>
<<Ah, è vero, Dantès, dimenticavo che tra i Catalani c'è qualcuno che deve aspettarvi con non meno impazienza di vostro padre; la bella Mercedes.>>
Dantès arrossi.

<<Ah! ah! - disse l'armatore - non mi sorprende più che sia venuta tre volte a domandare notizie del Faraone. Perbacco, Edmond, voi non siete da compiangere: avete proprio una graziosa amica.>>
<<Non è mia amica, ma - disse il marinaio con aria seria - è la mia fidanzata.>>
<<Qualche volta sono una cosa sola>> disse ridendo l'armatore.
<<Ma non per noi>> rispose Dantès.
<<Andiamo, andiamo, mio caro Edmond! - continuò l'armatore - non voglio trattenervi di più. Voi avete fatto i miei affari abbastanza bene perché io vi lasci fare i vostri con comodità. Avete bisogno di denaro?>>
<<No, signore, ho tutti i miei stipendi del viaggio, cioè quasi tre mesi di risparmi.>>
<<Voi siete un giovane previdente, Edmond!>>
<<Ricordate che ho un padre povero, signor Morrel.>>
<<Sì, sì, so bene che siete un buon figliolo! Andate dunque a veder vostro padre. Anch'io ho un figlio e non saprei perdonare quacuno che dopo tre mesi di viaggio lo tenesse lontano da me.>>
<<Dunque mi permettete di andare?>> disse il giovane salutandolo.

<<Sì, se non avete altro da dirmi.>>
<<No.>>
<<Il capitano Leclère non vi ha dato, morendo, una lettera per me?>>
<<Gli sarebbe stato impossibile scrivere, ma ciò mi ricorda che avrei un congedo di qualche giorno da chiedere.>>

<<Per prender moglie?>>
<<Prima di tutto per quello, poi per andare a Parigi.>>
<<Bene, bene! Prenderete il tempo che vorrete, Dantès. Non ci vorranno meno di sei settimane per scaricare il bastimento, e non ci rimetteremo in mare prima di tre mesi. Sarà opportuno che vi facciate trovare qui fra tre mesi. Il Pharaon - continuò l'armatore battendo sulla spalla del giovane marinaio - non potrebbe partire senza il suo capitano.>>
<<Senza il suo capitano! - esclamò Dantès con gli occhi sfavillanti di gioia - prestate attenzione a ciò che dite, signore, poiché rispondete alle più segrete speranze del mio cuore; avreste intenzione di nominarmi capitano del Pharaon?>>
<<Se fossi da solo vi stenderei la mano, mio caro Dantès, e vi direi: è fatto; ma ho un socio, e voi sapete l'antico proverbio toscano, chi ha compagno, ha padrone. Ma metà dell'affare è fatto: su due voti ne avete già uno. Per avere l'altro, fidatevi di me. Farò del mio meglio.>>
<<Oh, signor Morrel - esclamò il giovane marinaio, stringendo le mani dell'armatore con le lacrime agli occhi - signor Morrel, vi ringrazio in nome di mio padre e di Mercedes.>>
<<Va bene, va bene Edmond. C'è un Dio in cielo per la brava gente. Andate a vedere vostro padre, fate visita a Mercedes, poi ritornate da me.>>
<<Non volete che vi riporti a terra?>>
<<No, grazie, rimango a regolare i conti con Danglars. Siete rimasto contento di lui durante il viaggio?>>
<<Secondo il senso che voi date a questa domanda; se per la fedeltà del compagno di viaggio no, perché io credo che non mi stimi, dal giorno in cui ebbi la debolezza, in seguito ad uno scontro, di proporgli di fermarci dieci minuti sull'isola di Montecristo per terminare questa contesa; proposta, questa, che io ebbi torto di fare e che egli ebbe ragione di rifiutare. Se è per lo scrivano che mi fate questa domanda, credo che non ci sia nulla da dire, e sarete contento del modo con cui ha svolto il suo compito.>>
<<Ma - domandò l'armatore - se foste capitano del Pharaon terreste Danglars con piacere?>>

<<Capitano, o secondo - rispose Dantès - avrò sempre i più grandi riguardi per coloro che godono della fiducia dei miei armatori.>>
<<Andiamo, andiamo, Dantès, vedo bene che siete un bravo ragazzo sotto tutti i punti di vista. Non voglio trattenervi più a lungo. Andate, perché sembra che abbiate la brace sotto i piedi!>>
<<Arrivederci, signor Morrel, e grazie mille.>>
<<Arrivederci, mio caro Edmond, e buona fortuna!>>
Il giovane marinaio saltò sulla lancia, andò a sedersi a poppa e ordinò di approdare alla Canebière.
Due marinai si piegarono sui loro remi e la barca fuggì con la velocità che è possibile avere in mezzo a mille barche che ingombrano quella specie di angusta strada che conduce, fra due file di navigli, dall'entrata del porto allo scalo di Orléans. Sorridendo, l'armatore lo seguì con gli occhi fino alla spiaggia, lo vide saltare sui gradini dello scalo e perdersi subito in mezzo alla folla variopinta che dalle cinque del mattino alle nove della sera ingombra la famosa strada della Canebière, di cui i Phocéens moderni sono tanto orgogliosi da dire, con la più gran serietà del mondo e con l'accento che imprime tanto carattere a ciò che dicono: <<Se Parigi avesse la Canebière, Parigi sarebbe una piccola Marsiglia.>>

Girandosi l'armatore vide Danglars, all'apparenza in attesa dei suoi ordini ma in realtà intento come lui a seguire il giovane marinaio con lo sguardo. C'era soltanto una grandissima diversità nell'espressione di questo doppio sguardo diretto alla stessa persona.

Intanto qui potete trovare il link al primo capitolo, versione integrale!
Capitolo I: Marsiglia - L'arrivo.
A Presto!

venerdì 8 agosto 2014

Marsiglia - L'arrivo (II)

Eccoci qui, con il secondo brano della nostra versione!
Questa volta abbiamo usato come riferimento la traduzione fantasma di Franceschini, per la quale nutriamo una vera e propria insofferenza. Fateci sapere cosa ne pensate!


[...] <<Se ora volete salire, signor Morrel - disse Dantès vedendo l'impazienza dell'armatore -  ecco il vostro scrivano Danglars che esce dal suo camerino; vi darà tutti i chiarimenti che desiderate: quanto a me bisogna che sorvegli le manovre di ancoraggio e che metta la nave a lutto.>>

L'armatore non se lo fece ripetere due volte: afferrò una cima che gli gettò Dantès e
salì gli scalini sul fianco della nave con una sveltezza che avrebbe fatto onore anche ad un uomo di mare.L'altro intanto ritornò al suo posto di secondo e la conversazione coinvolse colui che era stato presentato con il nome di Danglars, che appunto uscì dalla sua cabina e si avvicinò all'armatore.
Egli era un uomo di venticinque-ventisei anni, una figura molto cupa, servizievole verso i suoi superiori, insolente con i sottoposti; di modo che, oltre al suo ruolo di computista, di per sé motivo di avversione per i marinai, era tanto malveduto dall'equipaggio per il suo comportamento tanto quanto, al contrario, Edmond Dantès era amato.
<<Ebbene signor Morrel - disse Danglars - siete già a conoscenza della disgrazia, no?>>

<<Sì, sì, povero capitano Leclère! Era un uomo buono e onesto.>>
<<E soprattutto un eccellente uomo di mare, invecchiato fra il cielo e l'acqua, come dev'essere per un uomo incaricato di curarsi degli affari di una casa così importante come la Morrel e figlio>> rispose Danglars.
<<Ma - disse l'armatore tenendo gli occhi rivolti a Dantès, che controllava lo stato delle manovre di ancoraggio - mi sembra che non occorra essere un marinaio così navigato come dite, Danglars, per conoscere bene il mestiere. Ecco il nostro amico Edmond che fa il suo, e mi sembra non abbia bisogno del consiglio di nessuno.>>
<<Sì - disse Danglars gettando su Dantès uno sguardo bieco in cui balenò un lampo d'odio - sì, è giovane e perciò non teme nulla. Appena morì il capitano, prese il comando senza consultare nessuno e ci fece perdere un giorno e mezzo all'isola d'Elba, invece di ripiegare direttamente a Marsiglia.>>
<<Quanto a prendere il comando della nave - disse l'armatore - era suo dovere farlo in quanto secondo; quanto al perdere un giorno e mezzo all'isola d'Elba, ha fatto male, a meno che l'imbarcazione non avesse qualche avaria da riparare.>>
<<La nave stava bene come sto io e come desidero che voi stiate sempre, signor Morrel, e questa giornata e mezzo la perdemmo per un capriccio, per il solo piacere di andare a terra, ecco tutto.>>
<<Dantès - disse l'armatore rivolgendosi verso il giovanotto - venite qui.>>
<<Scusate, signore - disse Dantès - sarò da voi fra un istante.>>

Poi all'equipaggio: <<Gettate l'ancora!>>
Immediatamente l'ancora fu lasciata cadere e la catena scivolò con rumore. Dantès restò al suo posto, nonostante la presenza del pilota, fino a che la manovra fu conclusa, poi disse: <<Abbassate la fiamma a mezz'albero, la bandiera a mezz'asta, incrociate i pennoni!>>

<<Vedete - disse Danglars - si crede già capitano,ci scommetto.">>
<<E lo è, infatti>> disse l'armatore.

<<Si, signor Morrel, salvo che per la vostra firma e quella del vostro socio.>> <<Diamine! Perché non dovremmo lasciargli il posto? - disse l'armatore - É giovane, lo so bene, ma mi sembra adatto all'incarico e molto esperto nel suo mestiere.>> 
Una nube passò sulla fronte di Danglars.
<<Scusate, signor Morrel - disse mentre si avvicinava il giovane Dantès - la nave è all'ancora e io sono da voi. Mi avevate chiamato, no?>> 
Danglars fecce un passo indietro.
<<Io volevo domandarvi perché vi siete fermato all'isola d'Elba.>>
<<Neanch'io lo so: è stato per eseguire un ultimo comando del capitano Leclère, che mi aveva affidato in punto di morte un plico per il gran Maresciallo Bertrand.>>
<<L'avete dunque visto, Edmond?>>
<<Chi?>>
<<Il gran Maresciallo.>>
<<Sì.>>
Morrel si guardò intorno, poi prese da parte Dantès.
<<E come sta l'Imperatore?>> domandò fortemente interessato.
<<Bene, per quanto ho potuto giudicare con i miei occhi.>>
<<Quindi avete visto anche l'Imperatore?>>
<<Entrò dal Maresciallo mentre vi ero io.>>
<<E gli avete parlato?>>
<<In realtà fu lui a parlarmi" rispose Dantès, sorridendo.
<<E cosa vi disse?>>
<<Mi ha fatto delle domande sul bastimento, sulla data della partenza da Marsiglia, sul viaggio che aveva fatto e sul carico che portava. Credo che, se fosse stato vuoto e io ne fossi stato il padrone, l'avrebbe voluto comprare. Ma gli dissi che io non ero che un semplice secondo, e il bastimento apparteneva alla casa Morrel e figlio. "Ah! - disse - la conosco. I Morrel sono armatori di padre in figlio, ed ho conosciuto un Morrel, che serviva nel mio stesso reggimento quando ero in guarnigione a Valence.">>
<<E vero, è vero!>> esclamò l'armatore tutto contento.


Vi ricordiamo che potete trovare la versione in itinere del nostro lavoro nella sezione la nostra versione.
A presto!

martedì 5 agosto 2014

Ebook de Il conte di Montecristo

Ciao a tutti!

Di seguito troverete il link per il download de Il conte di Montecristo.
La traduzione è quella di Emilio Franceschini che, come credo si sia capito in questo post, è priva di copyright. Il libro digitale in questione è stato realizzato da booksandbooks.com. Fateci sapere se ci sono problemi con il link!

Il mistero di Emilio Franceschini

Buongiorno a tutti!

Cercando la versione digitale della traduzione che usiamo per il blog ci siamo imbattuti in qualcosa di estremamente curioso. In un mistero dell'editoria italiana.

Negli anni '80 viene pubblicata da Mondadori una nuova edizione del Conte di Montecristo, la cui traduzione è attribuita ad Emilio Franceschini, alla sua prima opera.
Nel 2010 l'editore Carmine Donzelli (qui il sito della casa editrice) decide di riproporre il grande romanzo in una nuova (ed è il caso di dire finalmente!) traduzione. Decide però di indagare sulla versione fino ad allora pubblicata del romanzo e svela così il mistero di Emilio Franceschini.

La traduzione in questione è in realtà la riproposizione di un'edizione anonima Salani dell'800 (badare bene: ottocento!). A sua volta l'edizone Salani riproduce sostanzialmente la traduzione del 1869 edita da Sonzogno.

In breve: molti di noi si sono ritrovati davanti una traduzione del Conte di Montecristo che potrebbe essere stata letta anche da Alessandro Manzoni (sic!).

Giunti a queste conclusioni abbiamo deciso di utilizzare come punto di partenza (e solo come punto di partenza!) per la nostra versione dell'opera la traduzione in questione. A breve cercheremo di approfondire anche le lacune e soprattutto le censure di questa versione, ma per avere un'idea vi rimandiamo a Wikipedia.


A presto!

lunedì 4 agosto 2014

Marsiglia - L'arrivo (I)

Ecco l'incipit della nostra versione. Ovviamente siamo aperti a consigli e critiche. Dateci una mano!

Il 24 Febbraio 1815 la vedetta di Notre Dame de la Garde segnalò la nave Pharaon proveniente da Smirne, Trieste e Napoli. Come accadeva di solito un pilota costiere partì immediatamente dal porto, passò vicino al castello d'If e abbordò la nave fra il capo di Morgiou e l'isola di Rion. Inoltre, sempre al solito, i curiosi si erano affollati sulla piattaforma del forte di Saint Jean, poichè a Marsiglia l'arrivo di un bastimento è affare di molta importanza, specialmente quando si tratta di un bastimento costruito, armato e confezionato sui cantieri della vecchia Phocée e di proprietà di un armatore della città. Tale appunto era il Pharaon.

La nave intanto avanzava: aveva felicemente attraversato lo stretto che si dice essere stato aperto da qualche scossa vulcanica tra l'isola di Calasareignie e l'isola di Faros, aveva oltrepassato Pomegue e procedeva sospinto dalle tre gabbie, il grande fiocco e la randa, ma in modo così lento e triste che gli spettatori si chiedevano, avvertendo l'aria di disgrazia, quale accidente potesse mai essere successo a bordo. Le persone dell'arte comprendevano però bene che, se mai fosse successo qualcosa di sinistro, non poteva essere relativo alla nave, che si mostrava in grado di muoversi molto bene, anche se lentamente. L'ancora era pronta ad essere calata, le vele di prua sganciate e, vicino al pilota che si preparava per dirigere il Pharaon nella sua difficile entrata nel porto di Marsiglia, c'era un giovane in forze che sorvegliava attentamente i movimenti della nave e ripeteva tutti gli ordini del pilota.

L'incertezza piena d'ansia nella quale erano sospesi gli spettatori riuniti sulla spianata di Saint Jean aveva preoccupato in modo particolare uno di loro, che non potendo attendere l'entrata del bastimento nel porto si gettò su una piccola barca, fece vogare verso il Pharaon e attraccò in una piccola insenatura detta Réserve.

Vedendo giungere quell'uomo, il giovane marinaio abbandonò il posto vicino al pilota e andò con il cappello in mano ad appoggiarsi al parapetto della nave. Egli era un giovanotto di circa vent'anni, alto in statura, snello, con due profondi occhi neri e capelli del colore dell'ebano. Tutta la sua persona esprimeva quell'aria di tranquillità e di risolutezza propria degli uomini abituati a vivere sin dall'infanzia in lotta con il pericolo.

<<Ah, siete voi, Dantès! - esclamò l'uomo sulla barca - cos'è successo, perché quest'atmosfera triste a bordo? >>
<<Una grande disgrazia, signor Morrel - rispose quel giovane - una grande disgrazia, specialmente per me. All'altezza di Civitavecchia abbiamo perduto il buon capitano Leclère.>>
<<E il carico?>> chiese con vivacità l'armatore.
<<Sano e salvo, signor Morrel, e riguardo a questo credo sarete contento. Ma il povero capitano Leclère...>>
<<Che cosa gli è dunque succeduto? - riprese l'armatore, visibilmente più tranquillo - che cosa è successo a questo bravo capitano?>>
<<È morto...>>
<<È caduto in mare?>>
<<No, signore, è morto di una febbre cerebrale in mezzo a terribili spasmi.>>
Poi, volgendosi all'equipaggio:
<<Olà! Ehi, ognuno al suo posto per l'ancoraggio!>>

L'equipaggio obbedì e in un istante gli otto o dieci uomini che lo costituivano si slanciarono, chi alle gomene, chi alle marre, chi alle drizze, chi ai fiocchi e chi a sistemare le vele.
Il giovane marinaio controllò con un'occhiata quasi indifferente l'inizio delle manovre e, dato che i suoi ordini erano stati recepiti, tornò al suo interlocutore.

<<Raccontatemi dunque i particolari di questa disgrazia.>> continuò l'armatore riprendendo la conversazione dove il marinaio l'aveva interrotta.
<<Buon dio, signore, è successo tutto all'improvviso. Dopo un lungo colloquio con il comandante del porto, il capitano Leclère lasciò Napoli molto agitato. In ventiquattr'ore lo assalì la febbre; tre giorni dopo era morto. Ci siamo occupati dei funerali ordinari ed egli riposa ora avvolto in un'amaca all'altezza del Giglio, con una palla da trentasei ai piedi e una alla testa. Portiamo alla vedova la sua croce d'onore e all'erede la sua spada. - e, continuando con un malinconico sorriso, aggiunse - Valeva proprio la pena di far la guerra agli Inglesi per dieci anni ininterrotti per poi morire così, come chiunque altro, nel proprio letto!>>
<<Diavolo! Che fare, signor Edmond - riprese l'armatore, che appariva sempre più rilassato - siamo tutti mortali ed è necessario che i vecchi facciano posto ai giovani, altrimenti non ci sarebbero avanzamenti. E dato che voi mi assicurate che il carico...>>
<<È in buonissimo stato, signor Morrel, lo garantisco. Questo è un carico che vi consiglio di non vendere per meno di venticinquemila franchi.>>
Quindi, poiché la nave aveva passato la torre rotonda:
<<Attenti a caricare le vele di gabbia, il fiocco e la brigantina! - gridò il marinaio - gettate l'ancora!>> L'ordine fu eseguito con la prontezza di un ordine di guerra.
<<Ammaina e carica tutto!>>
A quest'ultimo ordine le vele furono calate e la nave perseguì per inerzia nel suo moto.



Abbiamo aggiunto anche una nuova sezione al blog: La nostra Versione!

Fateci sapere cosa ne pensate!

martedì 20 agosto 2013

Edouard de Villefort

É il piccolo di casa Villefort; essendo l'unico figlio della seconda moglie di madame de Villefort viene da lei viziato e trattato da principe. L'amore nei suoi confronti la porterà a gesti estremi, quale l'attentare alla vita di Valentine.


Principe Abdürrahim Efendi, di Fausto Zanonato

Il piccolo, figlio di Villefort e della sua seconda moglie, scorrazza libero per casa come un principino. Si comporta già come fosse il padrone di casa e, grazie alla madre, punta in effetti a diventare l'unico erede sia del tesoro dei Noirtier che della famiglia di origine della madre. Viene salvato dal Conte - messosi d'accordo con Alì - dalle bizzarrie di un cavallo che trainava la carrozza in cui era trasportato insieme alla madre.
L'obiettivo che la madre gli ha preposto, lo porta ad essere eccentrico ed estremamente bramoso di attenzioni, dalle più piccole carezze della madre ai giocattoli che gli regala il padre. Quando la reputazione della famiglia viene rovinata dal terribilmente celebre Affaire Benedetto, il ragazzo viene ucciso dalla madre, poichè oramai svanisce ogni possibilità di entrare in possesso dei beni di famiglia. La sua morte provocherà una seria riflessione nel Conte di Montecristo, che cessa in quel momento la sua opera di vendicatore, per ritornare al suo lato più umano: l'amore per Haydèe.

Maggiore Cavalcanti

Antico aristocratico italiano caduto in decadenza, che viene preso sotto l'ala protettiva di Montecristo per fungere ai suoi scopi: egli farà infatti entrare - grazie alle sue nobili origini - Benedetto nella società parigina.


Autoritratto, di Rembrandt

Si viene a conoscenza della sua esistenza quando Montecristo chiede a Danglars di aprire un conto a suo nome, con la scusa delle difficoltà di transazione del denaro dalle banche italiane a quelle parigine.
Subito viene convinto dal vendicatore a fingere di avere un figlio, Andrea - in realtà Benedetto, e una grossa fortuna economica per entrare nella società di Parigi. Poche sono le parole che dice quando viene presentato agli amici del Conte, ma importante è la sua presenza in quanto garante della nobiltà di Andrea Cavalcanti.
Il suo nome deriva dalla nobile famiglia dei Cavalcanti, dei quali il più famoso esponente è il poeta stilnovista Guido, che si propone come capostipite della scuola al fianco di Dante Alighieri.

lunedì 19 agosto 2013

Luigi Vampa

Bandito romano, funge da braccio destro di Montecristo in Italia poichè in debito con lui della vita di un suo aiutante. Misterioso ma romantico, la sua storia viene raccontata in quella che si può considerare una novella autonoma all'interno del romanzo.

Il fabbro, della Scuola Napoletana

Il bandito fa la sua comparsa a Roma, dove sembra agire da capo indiscusso in periferia, ma assolutamente sottomesso all'autorità papale in città - allora capitale dello stato pontificio. Una piccola parentesi sulla figura: sembra che Dumas si sia ispirato a Gasparone, un bandito abruzzese; l'uomo sembra comunque colto e amante della cultura latina: il suo libro preferito è La guerra gallica di Cesare. Piastrini racconta ad Albert la storia del bandito: Vampa si era da giovane invaghito della bella Teresa, pastorella che lo aveva ammaliato e sedotto. Quando il giovane decide di entrare nella banda di Cucumello, bandito della zona romana, gli viene rapita la ragazza e resa schiava dei piaceri di tutta la banda; infangato l'onore della donna, Vampa si vede costretto a renderla quasi una novizia Lucrezia e la uccide per preservarne l'onore.
Chiede aiuto al Conte, durante un incontro avvenuto di notte al Colosseo, perchè salvi la vita a Peppino, un pastore che ha fornito alla sua banda dei viveri - ma accusato di esserne parte. Al costo di uno dei suoi leggendari diamanti, il signore di Montecristo riesce a rendere salva la vita del malcapitato, guadagnandosi così la fiducia e la lealtà di Luigi Vampa. Subito il romano entra nel piano di Edmond: fa catturare durante la notte dei lumi Albert e lo tiene rinchiuso nelle grotte fuori città. Solamente all'arrivo del Conte verrà liberato - garantendogli così un aggancio per entrare nella società parigina. Verso la fine del romanzo il brigante aiuta di nuovo Montecristo: rapisce Danglars e lo tiene rinchiuso finchè non ha l'ultimo colloquio con Edmond Dantes.

domenica 18 agosto 2013

Ali

Fedele servitore del Conte di Montecristo, gli è sempre al fianco e lo aiuta nei suoi cambi di ruolo; davanti a lui Edmond Dantes non ha segreti: lo schiavo di origini nubiane è infatti muto a causa di un misfatto compiuto in Oriente.

Africa, di Rosalba Carriera

Mentre è sotto le spoglie di Simbad il marinaio, il Conte spiega a Franz d'Epinay - che si era ritrovato a Montecristo durante la sua permanenza in Italia, le origini di Alì:

"[..] Sembra che il malandrino avesse ronzato intorno all'harem del bey di Tunisi più di quanto fosse conveniente per un giovanotto del suocolore; così era stato condannato dal bey al taglio della lingua,della mano e della testa: la lingua il primo giorno, la mano ilsecondo, e la testa il terzo. Avevo sempre desiderato avere unmuto al mio servizio: aspettai che gli venisse tagliata la lingua eandai a proporre al bey di darmelo in cambio di un magnificofucile a due colpi che il giorno prima mi era sembrato avessesuscitato i desideri di Sua Altezza. Esitò un attimo, perché gli premeva di farla finita con quel povero diavolo. Ma io aggiunsi alfucile un coltello da caccia inglese con il quale avevo spezzato lo yatagan di Sua Altezza; allora il bey si decise a graziarlo dellamano e della testa, a condizione che non mettesse più piede aTunisi. La raccomandazione era inutile. Quando il miscredentescorge le coste dell’Africa, anche da molto lontano, corre anascondersi in fondo alla stiva, e non si riesce a farlo uscire di lìse non quando si è perso di vista il terzo continente".

Ecco spiegato dunque il motivo della fiducia che Montecristo ripone nel servitore. Abbiamo più volte prova dell'abilità del nubiano, sia come servitore fedele che come combattente. É per esempio lui a salvare madame Villefort e suo figlio quando si ritrovano sulla carrozza impazzita, ed è sempre lui che serve nella casa di Dantes quando qualche ospite gli fa visita.
Per il Conte la sua presenza è fondamentale, soprattutto quando gli è necessario passare repentinamente da un'identità dall'altra o da un'abitazione all'altra. Curioso è il fatto che il nubiano si trovi sempre nei pressi di Montecristo, l'unica figura che sembri stabile a parte Haydèe; mentre Bertuccio, Peppino e gli altri servano solamente temporaneamente Edmond, lo schiavo rimane al suo servizio per tutta la narrazione, anche quando la felice coppia si ritira. Non è un casa - si crede - che Dumas abbia voluto attribuire ad un uomo di colore un compito così arduo quale quello di seguire in tutto e per tutto il vendicatore; l'autore stesso ha origini africane.

venerdì 16 agosto 2013

Lucien Debray

Amante della signora Danglars, è colui che accompagna la donna anche alle serate mondane, come agli spettacoli all'opera o le cene importanti. Non è facile capire il rapporto che ha con Danglars, sebbene sia chiaro che ne abbia preso il posto nel cuore di sua moglie.

Autoritratto, di Peter Francis Bourgeois

Da subito si capisce che l'uomo è meglio inserito nel clima familiare dei Danglars rispetto a Danglars stesso: lo stesso cane della baronessa si rivolge lui molto più dolce e rispettoso. Da subito marito e amante si incontrano e riconoscono l'uno il ruolo dell'altro, l'uno affettivo e l'altro - per così dire - istituzionale. Viene coinvolto dalla signora di casa nella bancarotta che incombe sulla banca; poichè infatti la donna sperpera il denaro di famiglia, è costretta a chiederli all'amante per restituirli.
Amico di Franz d'Epinay, è colui che ne organizza il ritorno a Parigi per il matrimonio con la giovane Valentine Villefort. Quando però scoppia lo scandalo sul figlio illegittimo di Villefort e la signora Danglars, l'uomo decide di sostenere la baronessa, ma questa lo respinge per riuscire a nascondere l'accaduto grazie alle influenze dell'ex procuratore del re. É Debray però a consigliare la donna quando Danglars se ne va da Parigi, è lui l'unico che rimane al fianco della donna quando Eugénie se ne va. Alla fine, quando fuggono, acquista la casa che Mercedes e Albert lasciano e si garantisce così una rendita abbastanza sostanziosa.

Louise d'Armilly

Insegnante di canto di Eugénie Danglars, instaura con la ragazza un sentimento più profondo dell'amicizia: un amore omosessuale che farà nascere nei loro cuori il bisogno di fuggire dalla madrepatria francese.

Miss Clark, della British School

Viene presentata come l'istruttrice di canto della giovane Danglars, ma viene subito specificato che le due donne hanno tra loro anche una relazione di amicizia. Louise è infatti bene accettata in famiglia e considerata la confidente della signorina. Viene descritta come una donna di incantevole aspetto, bellissima e molto gentile, anche se il suo carattere si rivelerà essere ben deciso e determinato. Con il Conte di Montecristo ha poco a che fare, sebbene lui le fornisca alcune lettere di raccomandazione presso alcuni enti di canto italiani.
L'interesse che la donna, insieme con la sua compagna, ha nei confronti dell'Italia è costante e si concretizzerà alla fine, quando le due giovani decidono di fuggire insieme per ritirarsi a vita privata, sorrette l'una dall'amore dell'altra. L'escamotage che useranno è molto astuto: Eugénie, travestita da uomo, si finge Lèon d'Armilly, fratello della cantante, riuscendo così ad evadere ogni sorveglianza o controllo poliziesco.