lunedì 5 ottobre 2015

L'interrogatorio (II)

E il capitolo settimo finisce in un anticlimax terribile, con un Villefort che pare folgorato da un'idea malsana e le sorti di Dantès ancora in bilico... che succederà?
«Sì, avete ragione, voi dovete conoscere gli uomini meglio di me, non è impossibile. Ma se questi invidiosi dovessero essere tra i miei amici, vi confesso che preferirei non conoscerli per non essere costretto a odiarli.»
«Sbagliate. Bisogna sempre tenere, per quanto possibile, gli occhi aperti su quanto accade intorno, e in verità mi sembrate un così bravo giovane che per voi contravverrò alle regole ordinarie della giustizia e vi schiarirò le idee facendovi vedere la denuncia per la quale siete qui. Ecco il foglio in cui vi si accusa, riconoscete la grafia?»
E Villefort tirò fuori da una tasca la lettera e la porse a Dantès. Dantès guardò, lesse. Una nube gli oscurò la fronte. Poi disse:
«No, signore. Non conosco questa grafia, che seppure contraffatta è piuttosto franca. In ogni caso è stata una mano molto abile a vergarla. Sono ben fortunato – aggiunse guardando con riconoscenza Villefort – a trattare con un uomo come voi, perché il calunniatore è davvero un nemico.»
Vedendo il lampo che passò negli occhi del giovane mentre diceva queste parole, Villefort poté riconoscere quanta energia violenta era nascosta sotto quell’apparente dolcezza.
«Ora – disse Villefort – rispondetemi francamente e non come un uomo portato al suo giudice, ma come un uomo che si trovi in una posizione ingiusta a un altro uomo che provi ad interessarsi a lui… Cosa c’è di vero in quest’accusa anonima?»
E Villefort gettò con disprezzo la lettera che Dantès gli aveva restituito sullo scrittoio.
«Tutto e niente. Ecco la pura verità, sul mio onore di marinaio, sul mio amore per Mercedes, sulla vita di mio padre.»
«Parlate, signore» disse Villefort ad alta voce. E aggiunse tra sé: “Spero che, se Renée potesse vedermi, sarebbe contenta di me e non mi definirebbe più un tagliatore di teste!”
«Ebbene, lasciata Napoli il capitano Leclère cadde vittima di una febbre cerebrale. Non avendo un medico a bordo e non volendo lui fermarsi in nessun punto della costa frettoloso com’era di raggiungere l’isola d’Elba, la sua malattia peggiorò al punto che alla fine del terzo giorno, sentendosi vicino alla fine, mi chiamò:
“Mio caro Dantès, – mi disse – giuratemi sul vostro onore di fare tutto quello che vi dirò, si tratta di una questione del più alto interesse.”
“Ve lo giuro, capitano.” risposi.
“Ebbene, siccome dopo la mia morte spetta a voi il comando del bastimento in qualità di secondo, prenderete dunque il polso della nave e la dirigerete all’isola d’Elba, sbarcherete a Portoferraio, chiederete del gran maresciallo, gli darete questa lettera e forse lui ve ne consegnerà un’altra e vi incaricherà di qualche missione. Questa missione, che era riservata a me, la eseguirete voi al mio posto, Dantès, e tutto l’onore sarà vostro.”
“Lo farò, capitano, ma forse non riuscirò a raggiungere il gran maresciallo così facilmente come credete.”
“Ecco un anello che ve lo renderà tanto facile.” Mi consegnò un anello. Fece appena in tempo, perché poco dopo lo prese il delirio e il giorno seguente era morto.»
«E voi cosa avete fatto, a quel punto?»
«Ciò che dovevo fare, signore, quello che chiunque avrebbe fatto al mio posto. In qualsiasi situazione le preghiere di un moribondo sono sacre, ma per un marinaio le preghiere di un superiore sono ordini da eseguire. Feci dunque vela verso l’isola d’Elba, dove arrivai il giorno seguente, consegnai a bordo l’equipaggio e scesi a terra da solo. Come avevo previsto mi fecero all’inizio qualche difficoltà per introdurmi dal gran maresciallo; ma gli feci portare l’anello che serviva a farmi riconoscere e tutte le porte mi si spalancarono dinnanzi. Mi ricevette, mi interrogò sulle ultime circostanze della morte del povero Leclère e, come questi aveva previsto, mi consegnò una lettera ordinandomi di portarla di persona a Parigi. Lo promisi, perché quello era compiere le ultime volontà del mio capitano. Arrivato a terra sbrigai rapidamente tutti gli impegni di bordo e poi corsi a trovare la mia fidanzata, che trovai più bella e amorosa che mai. Sotto la protezione del signor Morrel superammo tutte le difficoltà ecclesiastiche. E alla fine, signore, stavo partecipando come vi ho detto al pranzo del mio fidanzamento. Mi sarei sposato tra un’ora e domani sarei partito per Parigi, se non per il fatto di essere stato arrestato oggi, sulla base di un’accusa che mi pare anche voi disprezziate quanto me.»
«Sì, sì – mormorò Villefort – quello che dite può essere vero e se siete colpevole lo siete solo d’imprudenza, di un’imprudenza tuttavia legittimata dagli ultimi ordini del vostro capitano. Datemi pure la lettera che vi è stata consegnata all’isola d’Elba, giuratemi sul vostro amore che vi presenterete alla prima requisitoria e andate a raggiungere i vostri amici.»
«Quindi sono libero, signore?» esclamò Dantès al colmo della gioia.
«Sì, ma prima datemi la lettera.»
«Dev’essere davanti a voi, signore, perché me l’hanno presa con tutto il resto dei documenti, ne riconosco alcuni in quel mucchio.»
«Aspettate – disse il sostituto a Dantès che stava prendendo guanti e cappello – a chi era indirizzata?»
«Al signor Noirtier, rue Coq-Héron, Parigi.»
Un fulmine dal cielo dritto su Villefort non lo avrebbe colpito in un modo più rapido e inatteso. Si lasciò cadere sulla sedia dalla quale si era alzato un poco per prendere i documenti confiscati a Dantès, prese a scorrerli precipitosamente e prese la lettera fatale, sulla cui gettò uno sguardo del più autentico terrore.
«Signor Noirtier, rue Coq-Héron, n° 13.» mormorò impallidendo sempre di più.
«Sì, signore – rispose Dantès meravigliato – lo conoscete?»
«No – rispose prontamente Villefort – un fedele suddito del re non conosce i cospiratori.»
«Si tratta dunque di una cospirazione? – chiese Dantès che si trovava ora immerso, dopo essersi creduto libero, in un terrore più grande del precedente – Comunque signore, ve l’ho detto: ignoravo del tutto il contenuto del dispaccio che portavo.»
«Sì – riprese Villefort con voce sorda – ma voi sapete il nome del destinatario!»
«Ma signore, per consegnare una lettera di persona dovrò pur sapere a chi.»
«E avete mostrato la lettera a qualcuno?» disse Villefort, che diventava sempre più pallido con l’avanzare della lettura.
«A nessuno, signore. Sul mio onore.»
«Nessuno sa quindi che avevate una lettera proveniente dall’isola d’Elba indirizzata al signor Noirtier?» «Nessuno signore, a parte chi me l’ha consegnata.»
«È troppo, questo è davvero troppo!» mormorò Villefort.
La fronte di Villefort si oscurava sempre più mentre leggeva. Le sue labbra bianche, le sue mani tremanti, i suoi occhi ardenti gettavano Dantès nella più dolorosa apprensione. Dopo la lettura Villefort si lasciò cadere la testa tra le mani e rimase fermo per un istante, annichilito.
«Oddio! Che c’è signore?» chiese timidamente Dantès.
Villefort non rispose, ma dopo qualche istante risollevò il viso pallido e scomposto e rilesse una seconda volta la lettera.
«E voi dite che ignorate il contenuto di questa lettera?» riprese Villefort.
«Sul mio onore, vi ripeto signore – disse Dantès – che non so nulla. Ma che cos’avete, dio mio! State male! volete che suoni il campanello? Che chiami qualcuno?»
«No – disse Villefort prontamente – no. Non fate nulla, non dite una parola. È mio compito dare ordini, non vostro.»
«Signore – disse Dantès mortificato – era solo per esservi d’aiuto, tutto qui.»
«Non ho bisogno di niente, è un malessere passeggero, ecco tutto. Occupatevi di voi e non di me. Rispondete.»
Dantès aspettava la domanda preannunciata da quelle parole, ma inutilmente. Villefort ricadde sulla sedia, si passò una mano fredda sulla fronte madida di sudore e per la terza volta si mise a leggere la lettera.
«Oh! Se in verità conoscesse il contenuto di questa lettera – mormorò – e un giorno venisse a sapere che Noirtier è il padre di Villefort, io sono perduto, perduto per sempre!» E di tanto in tanto guardava Edmond, come se il suo sguardo avesse potuto infrangere la barriera invisibile che racchiude nel cuore quei segreti che la bocca non dice.
«Niente esitazione, la strada è questa!» esclamò a un tratto.
«Ma, in nome del cielo, signore. – riprese il giovane sventurato – Se ancora dubitate di me o se avete dei sospetti, interrogatemi! Sono pronto a rispondervi.»
Villefort fece un notevole sforzo per controllarsi e con un tono che avrebbe voluto sicuro:
«Signore – disse – dal vostro interrogatorio risultano sospetti di gravi reati a vostro carico. Non potrò quindi, come prima speravo, di mettervi subito in libertà. Prima di concedervi tale permesso devo consultare il giudice istruttore. In ogni caso avete visto come vi ho trattato.»
«Oh! sì, signore – esclamò Dantès – e vi ringrazio perché per me siete stato un amico, più che un giudice.» «Ebbene, vi tratterrò prigioniero ancora per un po’, il meno possibile. Il principale atto d’accusa che esiste contro di voi è questa lettera, e vedete… - Villefort si avvicinò al caminetto, gettò la lettera nel fuoco e rimase immobile finché fu ridotta in cenere. - E voi vedete – continuò – che ormai non esiste più.»
«Oh! Signore, – esclamò Dantès – voi siete qualcosa di più della giustizia. Siete la bontà in persona!»
«Ma ascoltatemi – continuava Villefort – dopo quanto ho fatto capite bene che potete avere completa fiducia in me, non è vero?»
«Signore, ordinate e io eseguirò i vostri ordini.»
«No – disse Villefort avvicinandosi al giovane – no, non sono ordini che voglio darvi. Sono, lo capite, dei consigli.»
«Dite, e io farò come fossero ordini.»
«Vi farò trattenere fino a stasera al palazzo di giustizia. Forse verrà qualcun altro a interrogarvi, allora dite tutto quello che avete detto a me, ma non fate una parola su quella lettera.»
«Ve lo prometto, signore». E stavolta sembrava fosse Villefort a supplicare, ed era l’imputato a rassicurare il giudice.
«Capite – disse gettando uno sguardo sulle ceneri che conservavano ancora la forma della carta e volteggiavano sopra le fiamme – ora che quella lettera è bruciata, solo noi e voi sappiamo che è esistita. Non la vedrete mai più: negate dunque se qualcuno ve ne parla, negate sicuri e sarete salvo.»
«Negherò, signore, state tranquillo.» disse Dantès.
«Bene, bene!» disse Villefort avvicinando la mano al cordone del campanello. Poi, fermandosi subito prima di suonare:
«Era la sola lettera che avevate?» disse.
«L’unica.»
«Giuratelo.»
Dantès stese la mano.
«Lo giuro.» disse.
Villefort suonò. Il commissario di polizia entrò. Villefort si avvicinò al pubblico ufficiale e gli disse qualche parola all’orecchio, il commissario rispose con un semplice cenno della testa.
«Seguitelo, signore.» Disse Villefort a Dantès.
Dantès s’inchinò, rivolse un ultimo sguardo di riconoscenza a Villefort e uscì. Appena la porta si richiuse alla sua uscita, a Villefort mancarono le forze e cadde quasi svenuto sulla sedia. Poi, dopo un attimo:
«Oh, mio Dio – mormorò – da cosa dipendono la vita e la fortuna! Se il procuratore del re fosse stato a Marsiglia o se fosse stato chiamato il giudice istruttore invece del sostituto procuratore, sarei perduto. E quel foglio, quel maledetto foglio mi avrebbe precipitato nell’abisso. Ah, padre mio, padre mio. Sarete dunque sempre un ostacolo alla mia felicità in questo mondo? Dovrò lottare in eterno con il vostro passato?»
Poi, d’un tratto, un strana luce parve splendere nei suoi occhi e riaccese il suo viso. Un sorriso gli si aprì sulle labbra, i suoi occhi da stravolti divennero fissi, quasi si soffermassero su un pensiero.
«Sì – disse – quella lettera poteva rovinarmi, ma forse farà la mia fortuna. Via, Villefort, all’opera!»
E dopo essersi assicurato che l’imputato non si trovava più nell’anticamera, il sostituto procuratore del re uscì a sua volta e si incamminò veloce verso la casa della sua fidanzata.

A lunedì prossimo, con il capitolo ottavo, in cui scopriremo le bellezze gotiche del castello sull'isola di If.

lunedì 28 settembre 2015

L'interrogatorio (I)

Iniziamo il settimo capitolo, L'interrogatorio, con Villefort che deve lasciare la sua cena di fidanzamento per andare a rovinare quella di qualcun altro... O forse no? C'è speranza per questo
opportunista? Chi vivrà vedrà! (NO)


Appena uscito dalla sala da pranzo, Villefort lasciò cadere la sua maschera allegra per assumere quella dell’aria grave di un uomo chiamato al sommo compito di pronunciarsi sulla vita di un suo simile. Ora, malgrado la mobilità della sua fisionomia, mobilità che il sostituto aveva studiato più di una volta, come deve fare un buon attore, davanti allo specchio, questa volta ci volle un terribile sforzo per aggrottare le sopracciglia e rendere più seri i lineamenti. Trascurando il ricordo della linea politica seguita dal padre, che se non completamente dissociato dalla sua persona potrebbe essergli di intralcio per il futuro, Gérard de Villefort era felice in quel momento quanto è dato di essere a un uomo.
Già ricco d’orgini, a ventisette anni occupava un posto elevato nella magistratura e stava per sposare una bella ragazza che amava, non con passione ma razionalmente, come può amare un sostituto procuratore del re, e, oltre la bellezza, che era notevole, la signorina di Saint-Méran, la sua fidanzata, apparteneva a una delle famiglie più rispettate a corte, in quel tempo; e oltre l’influenza politica del padre e della madre che, non avendo avuto altri figli, poteva essere dedicata per intero al genero, portava anche cinquantamila scudi in dote al marito che, grazie alle speranze – parola atroce inventata dagli agenti matrimoniali – potenzialmente sarebbe potuta un giorno lievitare con un’eredità di mezzo milione. Tutti questi elementi nell’insieme componevano dunque per Villefort un quadro di felicità radiosa, al punto che gli sembrava che il sole fosse appannato quando contemplava a lungo la sua vita interiore con lo sguardo dell’anima.

[Nel testo: “Tous ces éléments réunis composaient donc pour Villefort un total de félicité éblouissant, à ce point qu'il lui semblait voir des taches au soleil, quand il avait longtemps regardé sa vie intérieure avec la vue de l'âme.”]

lunedì 21 settembre 2015

Il sostituto procuratore del re (III)

E si chiude così anche il sesto capitolo. Il personaggio di Villefort chiude in bellezza, i toni sono più dolci, gli affetti si fanno sentire. Intanto il sostituto procuratore viene avvisato della denuncia anonima.


«Ebbene, mio caro Villefort – riprese il conte di Salvieux – è esattamente quello che ho detto l’altro giorno alle Tuileries al ministro della casa reale che mi chiedeva spiegazioni sulla singolare unione tra il figlio di un girondino e la figlia di un ufficiale dell’armata di Condé; il ministro ha capito molto bene. Questo sistema di fusione è lo stesso di Louis XVIII. Così il re, che senza che lo sapessimo stava seguendo la conversazione, ci ha interrotto dicendo: “Villefort” – notate bene che il re non ha pronunciato il cognome Noirtier, anzi ha insistito su quello di Villefort – “Villefort – ha dunque detto il re – farà una bella carriera; è un giovane già maturo, che mi soddisfa totalmente. Vedo con favore che il marchese e la marchesa di Saint-Méran lo prendano come genero e avrei suggerito io stesso questa unione se non fossero venuti loro per primi a chiedermi il permesso di concluderla”»
«Il re ha detto questo?» esclamò Villefort estasiato.
«Ho riportato le sue stesse parole e, se il marchese vuol essere sincero, ammetterà che quanto ho appena detto è esattamente quello che il re disse a lui stesso sei mesi fa, quando gli parlò di un progetto di matrimonio tra sua figlia e voi.»
«Sì, è vero.» disse il marchese.
«Dunque dovrò tutto a questo eccellente sovrano! Cosa potrei non farò per servirlo!»
«Finalmente, – disse la marchesa – così vi voglio: si presenti ora un cospiratore e avrà il suo benvenuto!»

giovedì 17 settembre 2015

Franz d'Epinay

Amico di Albert de Morcerf, lo accompagna nel suo viaggio in Italia. Si dividono solo quando Albert va a Napoli, mentre Franz si dirige a Firenze.

Autoritratto a Saint-Saveur, di Federic Bazille


Avendo deciso di andare con l'amico parigino in Italia, sceglie di passare per la bella città fiorentina, per seguire un nuovo itinerario nel suo grand tour. Dopo essere passato per la città sceglie di visitare anche Portoferraio, città imperiale per eccellenza, e di passare qualche tempo sulla costa.
Lì incontra dei marinai che gli propongono di visitare l'isola di Montecristo. Giunto sul luogo, incontra Simbad il marinaio, uno degli alter ego di Edmond, e con lui passa una serata di svago, tra hashish e belle donne.
Reincontrato Albert a Roma gli racconta l'accaduto e incontra, nell'albergo in cui entrambi soggiornano, il Conte di Montecristo. Franz rimarrà stregato e conquistato dalla sua personalità, soprattutto perché il Conte salva Albert dai banditi romani.

A Parigi continua le sue frequentazioni con l'alta società e cerca di conquistare le grazie di Valentine Villefort, che però rifiuta i suoi corteggiamenti perché è innamorata del giovane Maximilien. Franz sarà anche uno dei testimoni, insieme a Beuchamp, di Albert quando sfida il Conte di Montecristo a duello.

lunedì 14 settembre 2015

Il sostituto procuratore del re (II)

Eccoci alla seconda parte del sesto capitolo. Le affermazioni di Villefort sono a dir poco agghiaccianti, meravigliosamente scritte, ma comunque degne dei peggiori uomini senza scrupolo. Giudicate voi stessi!

«A dire il vero, signora – disse Villefort – il mio ruolo e soprattutto il tempo in cui viviamo mi obbligano ad essere severo. E lo sarò. Ho già dovuto affrontare qualche accusa politica, e in questo senso ho già dato le mie prove. Purtroppo non siamo ancora alla fine»
«Credete?» disse la marchesa.
«Temo. Napoleone dall’isola d’Elba non è così lontano dalla Francia; la sua presenza quasi in vista delle nostre coste ravviva la speranza dei suoi partigiani. Marsiglia è piena di ufficiali a mezza paga che ogni giorno cercano contrasti con i rappresentanti della monarchia al minimo pretesto; in questa situazione nascono duelli al di qua, tra persone di classe elevata, e assassinî al di là, tra gente del popolo»
«Di certo – disse il conte di Salvieux, vecchio amico dei Saint-Méran e ciambellano del conte d’Artois – sapete che la Santa Alleanza lo trasferirà»
«Sì, se ne discuteva alla nostra partenza da Parigi. – disse il signor di Saint-Méran – E dove lo mandano?» «A Sant’Elena.»
«A Sant’Elena! Che cos’è?» chiese la marchesa.
«Un’isola a duemila leghe da qui, al di sotto dell’equatore.» rispose il conte.
«Alla buon’ora! Come dice Villefort, è una vera pazzia aver lasciato un uomo simile tra la Corsica, dove è nato, e Napoli, dove regna ancora suo cognato, e per di più di fronte all’Italia, di cui voleva fare un regno per il figlio!»

[Nel testo orginale: «À la bonne heure! Comme le dit Villefort, c'est une grande folie que d'avoir laissé un pareil homme entre la Corse, où il est né, et Naples, où règne encore son beau-frère, et en face de cette Italie dont il voulait faire un royaume à son fils. », l’ultima parte della frase non è stata tradotta nella nostra edizione di riferimento]

«Malauguratamente – disse Villefort – noi abbiamo i trattati del 1814, e non si può toccare Napoleone senza venir meno a quei trattati»
«Ebbene, verremo meno  – disse de Salvieux – Ha avuto la stessa sottiliezza, lui, quando si trattò di far fucilare lo sventurato duca d’Enghiem.»

giovedì 10 settembre 2015

Una scadenza regolare

Buongiorno a tutti, ragazzi!

Abbiamo una bella novità...
Come avrete notato, la pubblicazione degli aggiornamenti dei post ne la nostra versione non è stata affatto regolare: alta densità in alcuni periodi e desolazione completa in altri.
Anche noi l'abbiamo notato... e abbiamo deciso di imporci uno schema.

Forse qualcuno avrà anche visto il nuovo gadget qui a lato: segna il prossimo lunedì e fa un simpatico count-down fino alla mezzanotte. Così ogni settimana (come avrete capito, di lunedì) noi pubblicheremo un aggiornamento e voi potrete leggere una nuova pagina del Conte di Montecristo.

Questo ci darà modo di preparare con calma la nostra versione e di organizzare, non si sa mai, qualche progetto in parallelo.

Cosa ne pensate? Avete idee da proporre?
Non dimenticate che a noi fa molto piacere sentire la vostra voce.

Un saluto,

i fratelli del Conte.

domenica 6 settembre 2015

Il sostituto procuratore del re (I)

Partiamo con il sesto capitolo. Ci viene presentato il quarto principale responsabile delle sorti di Edmond: il vice procuratore del re Villefort. Occhi aperti sul passato dell'uomo...

Di fronte alla fontana delle Meduse, in rue du Grand-Cours, in una delle antiche abitazioni dell’architettura aristocratica costruite da Puget, nello stesso giorno e alla stessa ora si festeggiava un altro pranzo di fidanzamento. Ma gli attori di questa scena, invece che gente del popolo, marinai e soldati, provenivano dalla più alta società marsigliese. Erano tutti magistrati ora senza occupazione, dimessi dalle loro cariche sotto l’usurpatore; vecchi ufficiali disertori passati nelle file dell’armata di Condé; giovani cresciuti dalle loro famiglie insicure della propria sicurezza, nonostante l’aver mandato quattro o cinque sostituti pagati al servizio militare, in odio all’uomo che cinque anni d’esilio hanno reso un martire e quindici anni di Restaurazione un dio. Erano tutti a tavola e la discussione era piuttosto animata, accesa da tutte le vicissitudini e le idee dell’epoca, tanto più terribili e violente nel Mezzogiorno, dove da cinquecento anni l’astio per la religione rafforza quello politico. L’imperatore, sovrano dell’isola d’Elba dopo esserlo stato di una parte di Mondo, con adesso cinque o seimila sottomessi dopo che era stato gridato «Viva Napoleone!» da centoventi milioni di sudditi e in dieci lingue diverse, in quella conversazione era trattato come uomo finito che aveva perso per sempre la Francia e il trono.

sabato 5 settembre 2015

Il pranzo di fidanzamento (III)

E riprende anche la nostra versione!

Concludiamo in bellezza il capitolo 5, con Danglars tutto sorridente e Caderousse ancora un po' incerto, Che sarà successo? Per leggere per intero il capitolo, ecco il link.

Intanto gli altri convitati commentavano in piccoli gruppi l’arresto, ognuno facendo la propria supposizione. «E voi, Danglars – chiese qualcuno – che pensate dell’accaduto?»
«Io – disse Danglars – credo che abbia portato qualche merce proibita»
«In questo caso lo avreste dovuto sapere, visto che siete il contabile della nave»
«Sì, è vero; ma il contabile conosce solo quanto a lui dichiarato: so che abbiamo un carico di cotone, e basta; so che abbiamo ritirato il carico ad Alessandria dal signor Pastret, e a Smirne dal signor Pascal, niente di più»
«Ora mi ricordo – mormorò il povero padre– che ieri mi ha detto di avere una cassa di caffè e una di tabacco per me»
«Vedete – disse Danglars – si tratta di questo: mentre non c’eravamo la dogana avrà fatto dei controlli a bordo del Pharaon e avrà scoperto il contrabbando»
Mercedes non lo credeva affatto; soffocato fino a quel momento il suo dolore, a un tratto scoppiò in lacrime.

venerdì 4 settembre 2015

Il nuovo header è qui!

Eccoci, dovremmo aver trovato una buona soluzione per l'intestazione del blog.

Abbiamo scelto di utilizzare il disegno di Susanna di Edmond dopo essere scappato da If.
Per quanto riguarda il font utilizzato per il nome del blog abbiamo utilizzato il font gratuito Biedermeier Kursiv di Peter Wiegel,

Infine lo sfondo è Sunset after a Storm on the Coast of Sicily di Andreas Achenbach.

Speriamo vi piaccia e se avete consigli siamo aperti a miglioramenti!

mercoledì 2 settembre 2015

Un nuovo header

Ed eccoci all'ormai annuale ripresa dei lavori... e questa volta in grande! Come potete notare il nostro header è cambiato, ed il disegno che vedete è fatto a mano!

L'artefice di questa meraviglia è Susanna, che da grande fan del blog ha deciso di regalarci questa stupenda illustrazione.

Un ringraziamento speciale a lei e - di questo siamo certi - realizzeremo una migliore versione dell'intestazione per rendere merito ai regali che ci ha fatto! Sic! Due disegni... e di certo troveremo il modo di usarli al meglio.

I due disegni qui di seguito:

Edmond dopo la fuga da If

Il Conte di Montecristo

lunedì 20 aprile 2015

Il pranzo di fidanzamento (II)

La seconda parte. Come annunciato, le parole all'aria di Danglars....

Questa risposta provocò una nuova esplosione di gioia e di evviva.
«E quindi quello che crediamo essere un pranzo di fidanzamento – disse Danglars – è in realtà un pranzo di nozze?»
«No – disse Dantès – state tranquilli, non ci perdete nulla. Domani mattina parto per Parigi; cinque giorni per andare e cinque per tornare, un giorno per eseguire coscienziosamente la commissione di cui sono stato incaricato, e il 12 marzo sarò di ritorno. Il 12 marzo, quindi, ci sarà il vero pranzo di nozze»
La prospettiva di un nuovo festino raddoppiò la felicità generale, al punto che papà Dantès, che all’inizio del pranzo si lamentava del silenzio, ora, in mezzo alla conversazione generale, tentava inutilmente di far udire il suo augurio di prosperità ai futuri sposi. Dantès indovinò il pensiero di suo padre e ringraziò con un sorriso pieno d’amore. Mercedes guardò l’orologio della sala e fece un piccolo segno a Edmond. Regnava nella sala, intorno al tavolo, quell’allegria rumorosa tipica della fine dei pranzi della gente di bassa condizione. Chi era poco soddisfatto del suo posto si era alzato da tavola e aveva cercato altri vicini. Tutti si parlavano uno sopra l’altro, e nessuno si preoccupava di rispondere a chi gli faceva domande.

mercoledì 15 aprile 2015

Il pranzo di fidanzamento (I)

E iniziamo con il quinto! L'inizio del corpo narrativo del romanzo sta in questo capitolo.  Da qui in avanti prende il via l'azione del protagonista, Edmond. O meglio, nella prossima parte!
Il giorno dopo fu una bella giornata, il sole si alzò puro e splendente e i suoi primi raggi di un rosso purpureo screziavano le cime spumeggianti delle onde di un meraviglioso color rubino. Il pranzo era stato preparato al primo piano della Réserve, l’osteria con il pergolato di cui abbiamo già fatto conoscenza. C’era una grande sala illuminata da cinque o sei finestre, al di sopra delle quali era scritto, senza che nessuno ne conosca il motivo, il nome di una delle grandi città della Francia; una balconata in legno collegava dall’esterno tutte le finestre.
Benché il pranzo fosse fissato per mezzogiorno, fin dalle undici del mattino la terrazza era percorsa da persone che passeggiavano impazienti. Erano i marinai del Pharaon e qualche amico di Dantès.
Tutti indossavano gli abiti migliori, per fare onore ai fidanzati. Correva voce tra gli invitati dello sposo che gli armatori del Pharaon avrebbero onorato il fidanzamento del secondo; ma questo era un tale onore per Dantès che nessuno osava crederci. Però Danglars, arrivando in compagnia di Caderousse, confermò la notizia; quella stessa mattina aveva incontrato il signor Morrel in persona, che gli aveva assicurato che sarebbe venuto al pranzo alla Réserve. Infatti, un momento dopo il signor Morrel fece il suo ingresso nella sala e fu salutato dai marinai del Pharaon con un evviva e con un mare di applausi.
La presenza dell’armatore era per loro la conferma della voce che già correva, cioè che Dantès sarebbe stato nominato capitano; e siccome Dantès era molto amato a bordo, quelle brave persone facevano capire in quel modo all’armatore che una volta tanto la scelta era in sintonia con i desideri dei subordinati.
Appena il signor Morrel fece la sua comparsa, Danglars e Caderousse furono unanimemente incaricati di andare a cercare i fidanzati: dovevano avvisarli dell’arrivo del personaggio importante il cui arrivo aveva suscitato così grande impressione, e dire loro di affrettarsi.
Danglars e Caderousse partirono di corsa, ma non avevano fatto cento passi che scorsero il piccolo gruppo che si stava avvicinando. Quel piccolo gruppo era composto di quattro ragazze catalane, amiche di Mercedes, che accompagnavano la fidanzata, alla quale Edmond teneva il braccio. Vicino alla futura sposa camminava il vecchio Dantès e dietro di loro camminava Fernand, con un sogghigno sinistro. I due poveri ragazzi erano talmente felici che non vedevano altro che se stessi e quel bel cielo che li benediceva. Danglars e Caderousse svolsero la loro missione di ambasciatori. Poi, dopo aver scambiato una stretta di mano vigorosa e amichevole con Edmond, Danglars andò sedersi vicino a Fernand e Caderousse di fianco al padre di Dantès, ora centro dell’attenzione generale.
Il vecchio indossava il suo bel vestito di seta, ornato di larghi bottoni di acciaio sfaccettati. Le gambe, sottili ma muscolose, erano coperte da magnifiche calze di cotone molto elaborato, probabilmente di contrabbando inglese. Dal suo cappello a tre punte scendevano un nastro bianco e uno azzurro. Si appoggiava a un bastone di legno lavorato e curvo nella parte superiore, come il pedum degli antichi. Pareva uno di quegli elegantoni che nel 1796 si pavoneggiavano nei giardini riaperti del Luxembourg e delle Tuileries.
Di fianco a lui, come abbiamo detto, si era messo Caderousse, che la speranza di un buon pranzo aveva fatto riconciliare con i Dantès, e a cui ormai non rimaneva nella mente che solo un vago ricordo di quanto era accaduto il giorno prima, come quando ci si sveglia al mattino con qualche memoria del sogno fatto la notte.
Danglars, avvicinandosi a Fernand, aveva gettato al catalano imbronciato uno sguardo profondo. Fernand camminava dietro ai fidanzati, completamente trascurato da Mercedes che, con l’egoismo giovanile tanto caro all’amore, aveva occhi solo per il suo Edmond. Fernand era pallido, con improvvisi rossori che lasciavano il passo a pallori sempre più evidenti.
Ogni tanto guardava verso Marsiglia e allora un fremito nervoso e involontario lo percorreva da capo a piedi. Sembrava aspettare o almeno prevedere qualche avvenimento. Dantès era vestito con semplicità. Appartenendo alla marina mercantile indossava un abito tra l’uniforme militare e l’uniforme civile; e con quest’abito il suo bell’aspetto, anche per la gioia e la bellezza della sua fidanzata, appariva superbo. Mercedes era bella come una di quelle greche di Cipro o di Cèos dagli occhi d’ebano e dalle labbra di corallo. Camminava con il passo agile e tranquillo delle andaluse. Una ragazza di città avrebbe forse cercato di nascondere la sua gioia sotto un velo o almeno sotto le palpebre, ma Mercedes sorrideva e guardava tutto ciò che aveva intorno; il suo sorriso e il suo sguardo dicevano palesemente quanto le parole avrebbero faticato: “Se mi siete amici rallegratevi, perché sono davvero molto felice”.
Quando i due fidanzati e i loro accompagnatori furono in vista della Réserve, Morrel scese e andò loro incontro, seguito dai marinai e dai soldati, con i quali era rimasto, confermando la promessa già fatta a Dantès: sarebbe stato il successore del capitano Leclère. Edmond, vedendolo arrivare, lasciò il braccio della fidanzata e lo cedette a Morrel. L’armatore e la ragazza diedero allora l’esempio e salirono per primi la scala di legno che portava alla stanza dove era stato preparato il pranzo. La scala scricchiolò per cinque minuti sotto i passi pesanti dei convitati.
«Padre mio – disse Mercedes fermandosi al centro della tavola – voi starete alla mia destra, alla mia sinistra metterò colui che fino ad ora è stato per me un fratello» e lo disse con una dolcezza che penetrò fino al fondo del cuore di Fernand come un colpo di pugnale.
Le sue labbra si contorsero e sotto il colore scuro del suo viso virile si poté vedere ancora una volta il sangue ritrarsi a poco a poco per affluire al cuore. Intanto Dantès aveva eseguito la stessa manovra: alla sua destra aveva messo il signor Morrel, alla sinistra Danglars, poi con la mano aveva fatto segno che ognuno prendesse posto a suo piacere. Per la tavola circolavano già i salami di Arles, con le carni scure e affumicate, le aragoste con il loro roseo carapace, i ricci di mare che sembrano castagne circondate da una scorza spinosa, le vongole che per i ghiottoni del Mezzogiorno sono buone più delle ostriche del Nord, e tutti qui crostacei delicati che le onde gettano sulla spiaggia sabbiosa e che i pescatori riconoscenti designano con il nome di frutti di mare.
«Che bel silenzio! – disse il vecchio Dantès gustando un bicchiere di vino giallo topazio che papà Pamphile in persona aveva portato da Mercedes – si direbbe che qui ci sono trenta persone che non chiedono altro se non di ridere…»
«Eh, un marito non è sempre allegro» disse Caderousse.
«Il fatto è – disse Dantès, – che sono troppo felice in questo momento. Se è così che intendete, caro vicino, avete ragione. La gioia talvolta fa uno strano effetto: opprime come il dolore»
Danglars osservò Fernand dal cui carattere impressionabile traspariva ogni emozione.
«Andiamo – disse – avete forse qualche timore? Mi sembra al contrario che tutto vada secondo i vostri desideri»
«Ed è proprio questo che mi spaventa  – disse Edmond – a me sembra che l’uomo non sia fatto per raggiungere così facilmente la felicità! La felicità è come quei palazzi delle isole incantate le cui porte hanno i draghi per guardiani: bisogna combattere per conquistarli e io in verità non so quale merito io abbia conquistato per ricevere la ricompensa della felicità di essere il marito di Mercedes»
«Marito, marito… – disse Caderousse ridendo – non ancora, mio caro capitano, prova a vedere per un po’ com’è fare il marito, e vedrai come sarai ricevuto!»
Mercedes arrossì. Fernand si agitava sulla sedia e rabbrividiva al minimo rumore; di tanto in tanto il catalano si asciugava grosse gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, come le prime gocce di un urgano.
«In fede mia, vicino Caderousse – disse Dantès guardando l’orologio – non è un grave errore, per così poco. Mercedes non è ancora mia moglie, è vero… Ma tra un’ora e mezza lo sarà»
Tutti gettarono un grido di sorpresa, eccetto Dantès padre, il cui largo sorriso mostrò denti ancora belli. Mercedes sorrise e non arrossì più. Fernand afferrò convulsamente l’impugnatura del coltello.
«Fra un’ora! – esclamò Danglars, anche lui impallidito – … E come?»
«Sì, amici miei – rispose Dantès – grazie alla buona reputazione del signor Morrel, l’uomo al quale dopo mio padre devo di più a questo mondo, tutte le difficoltà possono dirsi appianate: abbiamo fatto le pubblicazioni e alle due e mezzo il sindaco di Marsiglia ci attende al Palazzo della città. Essendo l’una e un quarto, non credo di essermi sbagliato poi molto nel che tra un’ora e trenta minuti Mercedes si chiamerà signora Dantès».
Fernand chiuse gli occhi: una nube di fuoco gli bruciò le palpebre; si appoggiò al tavolo per non cadere, ma nonostante tutti i suoi sforzi non poté trattenere un sordo gemito che si perse nel rumore delle risate e delle felicitazioni degli altri.
«È così che si fa, no? – disse papà Dantès – Vi sembra si possa dire che questo è perder tempo? Arrivato ieri mattina, oggi sposato! I marinai sì che sanno arrivare alla meta!»
«Ma le altre formalità?»
«Il contratto? – disse Dantès ridendo – il contratto è fatto: Mercedes non ha niente, e io nemmeno! Ci sposiamo nel regime della comunione dei beni: non è lungo da scrivere, e nemmeno da pagare!»

Vi ricordiamo che trovate l'elenco delle parti che abbiamo tradotto nella sezione "La nostra versione", oppure qui.

lunedì 13 aprile 2015

Il complotto (II)

Ecco anche la seconda parte del quarto capitolo!
«Ma il modo? …il modo?» disse Fernand.
«Non lo hai ancora trovato?»
«No, non hai detto che lo avresti trovato tu?»
«È vero – riprese Danglars – i francesi hanno questa superiorità sugli spagnoli: gli spagnoli ruminano, e i francesi inventano»
«Inventa, allora, inventa!» disse Fernand con impazienza.
«Cameriere! – disse Danglars – carta, penna e calamaio!»
«Carta, penna e calamaio?» mormorò Fernand.
«Sì, io sono un contabile: la penna, l’inchiostro e la carta sono i miei strumenti, senza cui non saprei fare nulla»
«È tutto su quel tavolo» disse il cameriere indicando gli oggetti richiesti.
«E allora dateceli». Il cameriere prese la carta, la penna e l’inchiostro e li posò sul tavolo sotto il pergolato. «Quando si pensa – disse Caderousse lasciando cadere la mano sulla carta, – che con questa si può ammazzare un uomo con più certezza che ad attenderlo in un bosco per assassinarlo… Ho sempre avuto più paura di una penna, di una bottiglia d’inchiostro e di un foglio di carta che non di una spada o di una pistola»
«Il buffone non è ancora ubriaco come sembra – disse Danglars – versategli ancora da bere, Fernand»
Fernand riempì il bicchiere di Caderousse che, da bravo bevitore, levò la mano dalla carta e la spostò sul bicchiere. Il catalano seguì i suoi movimenti finché Caderousse, quasi sopraffatto da un nuovo attacco di ubriachezza, lasciò cadere, il bicchiere sul tavolo.
«Ebbene…» riprese il catalano vedendo che il resto della lucidità di Caderousse cominciava a scomparire dietro all’ultimo bicchiere di vino.
«Ebbene dicevo, per esempio – riprese Danglars – che se, dopo un viaggio come quello che ha fatto Dantès e in cui è sbarcato a Napoli e all’isola d’Elba, qualcuno lo denunciasse…»
«Lo denuncerò io!» esclamò deciso il giovane.
«Sì, ma in questo caso vi farebbero firmare la dichiarazione, e vi metterebbero di fronte a chi avreste denunciato. Io vi darò gli elementi con cui sostenere la vostra accusa, ne sono certo. Ma Dantès non può restare eternamente in prigione; un giorno o l’altro uscirà, e allora quel giorno sarà terribile per chi ce lo ha fatto entrare!»
«Oh, desidero proprio – disse Fernand – che venga a sfidarmi a duello!»
«Sì, e Mercedes? Mercedes comincerebbe subito ad odiarti se soltanto tu osassi scalfire la pelle del suo amatissimo Edmond!»
«Hai ragione» disse Fernand.
«No, no – riprese Danglars, – se decidiamo una cosa del genere, è evidente, è meglio prendere con tranquillità questa penna, come sto facendo io, bagnarla d’inchiostro e scrivere con la mano sinistra, perché la grafia non sia riconosciuta, la piccola seguente denuncia…» E Danglars, facendo seguire l’esempio all’insegnamento, scrisse con la sinistra e con una scrittura contraffatta che non somigliava affatto alla sua le seguenti parole, che passò a Fernand e che questi lesse a bassa voce:

“Il signor procuratore del Re è avvisato, da un amico del trono e della religione, che tale Edmond Dantès, secondo del bastimento Pharaon, giunto questa mattina da Smirne dopo aver toccato Napoli e Portoferraio, è stato incaricato da Murat di consegnare una lettera per l’usurpatore, e dall’usurpatore di consegnarne un’altra al comitato bonapartista di Parigi. Si avrà la prova del suo delitto arrestandolo poiché si troverà tale lettera nelle sue tasche, in casa di suo padre o nella sua cabina a bordo del Pharaon.”

«Finalmente – continuò Danglars – in questo modo la tua vendetta sarà attribuita alle circostanze, in nessun modo potrebbe ricadere su di voi, e la faccenda andrebbe avanti da sola. Non ti resterebbe che piegare la lettera, come sto facendo io, scriverci sopra “Al signor procuratore del re” e tutto sarebbe finito»
E Danglars lo fece, come per scherzo.
«Sì, sarebbe tutto finito – esclamò Caderousse, che con un ultimo sforzo di lucidità aveva seguito la lettera e capiva istintivamente tutto il male che avrebbe potuto causare una simile denuncia. – sì, tutto sarebbe finito, ma sarebbe un’infamia» E allungò il braccio per prendere la lettera.
«Ma via – disse Danglars allontanando la lettera – quello che ho detto e fatto è soltanto uno scherzo; e sarei il primo a dispiacersi se dovesse capitare qualche sciagura a Dantès, al buon Dantès! Guardate…» Prese la lettera, la stropicciò un po’ con le mani e la gettò in un angolo del pergolato.
«Che sollievo – disse Caderousse – Dantès è mio amico, e non voglio che gli si faccia del male»
«E chi diavolo dovrebbe fargli del male? Certo non io né Fernand» disse Danglars alzandosi e squadrando da capo a piedi il catalano rimasto seduto, che non staccava gli occhi dal foglio di denuncia nell’angolo.
«In questo caso – riprese Caderousse – ci portino del vino, voglio bere alla salute di Edmond e della bella Mercedes»
«Hai già bevuto troppo, ubriacone – disse Danglars – e se continui sarai costretto a dormire qui perché non riuscirai a reggerti in piedi»
«Io? – disse Caderousse alzandosi con l’assenza di un ubriaco – io non riuscirò a reggermi in piedi? Scommettiamo che salgo sul campanile degli Accoules senza bilanciere?»
«E va bene – disse Danglars – scommetto, ma per domani; ora è tempo di tornare a casa. Dammi il braccio e andiamo»
«Andiamo – disse Caderousse – ma non ho bisogno del tuo braccio. Tu vieni, Fernand? Rientri con noi a Marsiglia?»
«No – rispose Fernand – torno ai Catalani»
«Fai male, vieni con noi a Marsiglia, dai!»
«Non ho niente da fare a Marsiglia, e non ci voglio andare»
«Come hai detto? Non vieni? Fai come vuoi. Vieni, Danglars, lasciamo rientrare il giovanotto al suo villaggio, visto che è ciò che vuole»
Danglars approfittò di quel momento di buona volontà di Caderousse per trascinarlo alla volta di Marsiglia; e, soltanto per lasciare a Fernand la via più facile, invece di prendere la rue Rives-Neuves prese la direzione della porta Saint-Victor. Caderousse lo seguiva barcollando, attaccato al suo braccio. Dopo una ventina di passi, Danglars si voltò e vide Fernand prendere il foglio di carta e metterselo in tasca, uscire dal pergolato e andare verso il Pillon.
«Ma che fa? – disse Caderousse –Ha mentito: ha detto che andava ai Catalani e invece va verso la città. Ehi! Fernand! Stai sbagliando strada, ragazzo mio!»
«Sei tu che stai sbagliando – disse Danglars – sta andando dritto per la strada delle Vieilles-Infermeries». «Davvero? – disse Caderousse – avrei giurato che svoltasse a destra. Decisamente il vino è un traditore»
«Andiamo, andiamo – mormorò Danglars – mi sembra che l’affare sia ben avviato e non resti altro che lasciarlo andare avanti da solo».

In vino veritas.

domenica 12 aprile 2015

Il complotto (I)

Ed iniziamo con il quarto capitolo, il cui titolo dice tutto: eccoci all'origine di tutto...

Danglars seguì con lo sguardo Edmond e Mercedes finché non scomparvero dietro a uno degli angoli del forte Saint-Nicolas; poi, voltandosi, scorse Fernand che era ricaduto sulla panca pallido e fremente, mentre Caderousse balbettava le parole di una canzone da osteria.
«Ecco – disse Danglars a Fernand – questo è un matrimonio che non sembra rendere tutti felici!»
«Ed è la mia disperazione» disse Fernand.
«Dunque ami Mercedes?»
«Da quando ci siamo conosciuti, l’ho sempre amata.»
«E te ne stai là a strapparti i capelli invece di cercare una soluzione! Diavolo! non credevo che la gente della vostra razza si comportasse in questo modo.»
«Cosa vuoi che faccia?» domandò Fernand.
«E che ne so io? C’entro qualcosa? Non sono io, mi sembra, l’innamorato di Mercedes, ma tu. Cercate, dice il Vangelo, e troverete.»
«Avevo già trovato.»
«Che cosa?»
«Volevo pugnalarlo l’hombre, ma lei mi ha detto che se fosse successo qualcosa al suo fidanzato si sarebbe uccisa.»
«Mah, queste sono cose si dicono sempre e poi non si fanno.»
«Non conosci Mercedes: ciò che minaccia, esegue.»
«Imbecille! – mormorò Danglars – che si uccida o no, a me poco importa, purché Dantès non diventi capitano»
«E prima che Mercedes morisse – riprese Fernand con l’accento di una decisione irremovibile – morirei io»
«Questo sì chiama amore! – disse Caderousse con una voce mossa dal vino – se non lo è questo, allora non so più cosa sia!»
«Su – disse Danglars – mi sembri un giovane per bene, e vorrei proprio aiutarti, ma…»
«Sì – disse Caderousse – troviamo il modo.»
«Mio caro – riprese Danglars, – sei quasi completamente ubriaco; finisci la bottiglia e lo sarai del tutto. Bevi e non immischiarti in ciò che facciamo: bisogna essere a mente lucida»
«Io ubriaco? – disse Caderousse – ma via! Potrei berne altre quattro di queste bottiglie! Non sono più grandi di una boccetta di acqua di Colonia. Papà Pamphile, del vino!» E per dare effetto alle sue parole, Caderousse batté il bicchiere sul tavolo.
«Dicevi, dunque?» riprese Fernand aspettando con ansia il seguito della frase interrotta.
«Cosa dicevo? Non mi ricordo. Quest’ubriacone di Caderousse mi ha fatto perdere il filo del discorso.»
«E sono ubriaco quanto vuoi... peggio per quelli che hanno paura del vino! Avranno cattivi pensieri e temono che il vino li faccia parlare - e Caderousse si mise a cantare gli ultimi due versi di una canzone molto in voga a quei tempi - Tutti i malvagi bevono acqua, Lo dimostra il diluvio universale. »
«Dicevi – disse Fernand – che vorresti aiutarmi, ma, hai aggiunto…» «Sì, stavo per dire che per darti una mano basta che Dantès non sposi la donna che ami; e il matrimonio potrebbe saltare senza che Dantès debba morire.»
«La morte sola può separarli.» disse Fernand.
«Ragioni come uno stupido, amico mio – disse Caderousse – adesso Danglars, che è un furbo, un maligno, un greco, ti dimostrerà perché hai torto. Dimostraglielo, Danglars, ho garantito io per te. Digli che non c’è bisogno che Dantès muoia… del resto mi dispiacerebbe se morisse, Dantès. È un bravo ragazzo, io voglio bene a Dantès. Alla tua salute, Dantès!» Fernand si alzò con impazienza.
«Lascialo parlare – riprese Danglars trattenendo il catalano – anche se è ubriaco, non dice baggianate. La distanza separa quanto farebbe la morte… supponete ad esempio che tra Edmond e Mercedes ci siano i muri di una prigione: sarebbero separati né più né meno che se ci fosse una lapide.»
«Sì, ma di prigione si esce – disse Caderousse con quel poco di lucidità che gli restava, mentre cercava di intervenire nella conversazione  – e quando si esce di prigione e si porta il nome di Edmond Dantès, ci si vendica.»
«Che importa!» mormorò Fernand.
«E poi – riprese Caderousse – perché dovrebbero mettere in prigione Dantès? Non ha rubato, non ha ucciso, non ha assassinato.»
«Taci una buona volta!» disse Danglars.
«No, non voglio tacere; voglio che mi si dica perché mai dovrebbero mettere in prigione Dantès. Io voglio bene a Dantès. Alla tua salute, Dantès!» E mandò giù un altro bicchiere di vino.
Danglars seguì negli occhi ormai inespressivi del sarto il progredire della sua ubriachezza. Poi, rivolgendosi a Fernand: «Capisci – disse – che non c’è bisogno di ucciderlo?»
«Certo, non c’è bisogno se, come dicevi, ci fosse il modo di farlo arrestare.»
«Cercando bene – disse Danglars – si potrebbe trovarlo. Ma perché diavolo m’immischio? Forse la cosa mi riguarda?»
«Non so se la cosa ti riguarda – disse Fernand afferrandogli un braccio – ma so che hai qualche motivo particolare di odio contro Dantès; chi già odia non s’inganna sul sentire altrui.»
«Io? …dei motivi per odiare Dantès? Nessuno, la mia parola! Io ho visto un amico infelice e la sua infelicità mi ha commosso, ecco perché mi sono interessato. Ma poiché credi che io agisca per il mio interesse, addio, amico. Cavatela da solo.»
E Danglars fece a sua volta il gesto di alzarsi.
«No – disse Fernand trattenendolo – stai qui! M’importa poco, in fin dei conti, se odi o no Dantès: io lo odio, e non lo nascondo. Trova il modo, io eseguirò! Purché che non provochi la morte dell’uomo, o Mercedes si ucciderebbe se Dantès fosse ucciso.»
Caderousse, che aveva lasciato cadere la testa sul tavolo, rialzò la fronte e, guardando Fernand e Danglars con occhi pesanti e spenti, disse: «Uccidere Dantès… chi parla di uccidere Dantès? Io non voglio che sia ucciso, io! È mio amico… si è offerto di dividere con me il suo denaro, come io ho diviso il mio con lui… Non voglio che si uccida Dantès!»
«E chi parla di ucciderlo, imbecille! – riprese Danglars – Si sta scherzando, qui. Bevi alla sua salute – e aggiunse riempiendo il bicchiere di Caderousse – e lasciaci tranquilli.»
«Sì, sì, alla salute di Dantès! – disse Caderousse, vuotando il bicchiere – alla sua salute... alla sua salute... alla sua…»

Come al solito non risparmiate consigli!

giovedì 9 aprile 2015

I catalani (III)

E anche il terzo capitolo è finito!!
Ecco qui la parte mancante.
“Il cielo mi perdoni! Non sanno d'esser visti... Eccoli!”
Danglars si godeva ogni piccolo cenno di sofferenza sul viso di Fernand, che si scomponeva in modo assai evidente.
“Li riconoscete, Fernand?” disse.
“Sì - rispose questi con flebile voce - sono Edmond e Mercedes.”
“Ah, vedete - disse Caderousse - li avevo riconosciuti! Che bella ragazza! E diteci quando si faranno le nozze, poiché Fernand si è ostinato a non volercelo dire.”
“Vuoi tacere? - disse Danglars, simulando di trattenere Caderousse, che con l’audacia dell'ubriaco si sforzava di piegarsi fuori dal pergolato - Cerca di tenerti dritto, e lascia agli innamorati la loro intimità. Guarda Fernand e prendi esempio da lui, è un uomo ragionevole.”
Forse Fernand, ormai al limite e punto da Danglars come il toro dai giostratori, stava per slanciarsi: si era già alzato e sembrava raccogliersi per scagliarsi contro il suo rivale, ma Mercedes, ridente e accorta, alzò la sua bella testa e fece brillare il suo sguardo limpido.
 Allora Fernand si ricordò della minaccia che aveva fatto di morire se Edmond fosse morto, e ricadde scoraggiato sulla panca. Danglars guardò quei due uomini: l'uno imbestialito dall'ubriachezza, l'altro dominato dall'amore.
“Non otterrò niente da questi imbecilli – mormorò - e ho una gran paura di essere qui fra un ubriaco ed un poltrone. Ecco un invidioso che si ubriaca con del vino, mentre dovrebbe farlo con il fiele; ecco un grande imbecille al quale viene tolta la sua bella da sotto al naso, e si accontenta di piangere e di lamentarsi come un ragazzo: e sì che ha gli occhi fulminanti degli spagnoli, dei siciliani e dei calabresi, che sanno vendicarsi così bene, e dei pugni che romperebbero la testa a un bue come la mazza del macellaio! Decisamente il destino di Edmond è dolce: sposerà la ragazza, sarà fatto capitano e ci deriderà, a meno che...- un sinistro sorriso affiorò alle labbra di Danglars - a meno che io non intervenga...” concluse.
“Ehi! - continuava a gridare Caderousse, mezzo alzato e con i pugni sulla tavola - ehi, Edmond, non hai visto dunque i tuoi amici, o sei già diventato così superbo da non parlare con loro?”
“No, mio caro Caderousse - rispose Dantès - io non sono superbo, sono felice! E la felicità acceca, credo, assai più della superbia!”
“Finalmente! Ecco una bella spiegazione - disse Caderousse – oh, buongiorno signora Dantès.”
Mercedes salutò con serietà.
“Questo ancora non è il mio nome – disse - e nel mio paese è di cattivo auspicio chiamare le ragazze con il nome del fidanzato prima che sia loro marito. Vi prego dunque di chiamarmi Mercedes.”
“Bisogna perdonare il buon vicino - disse Dantès - si sbaglia di poco.”
“Dunque le nozze sono vicine, Dantès?” disse Danglars salutando i due giovani.
“Il più presto possibile, signor Danglars: oggi ci metteremo d’accordo con mio padre e al massimo domani il pranzo di fidanzamento, qui alla Resérve. Spero che gli amici ci saranno, e ciò vuol dire che siete invitato, signor Danglars, e tu, Caderousse, non mancherai.”
“Fernand - disse Caderousse ridendo - sarà invitato anche lui?”
“Il fratello della mia sposa è anche mio fratello - disse Edmond - e sia io che Mercedes saremmo molto dispiaciuti se si allontanasse da noi in questa circostanza.”
Fernand aprì la bocca per rispondere, ma la voce gli si estinse in gola e non riuscì ad articolare le parole. “Oggi gli accordi, domani o dopo il fidanzamento! ...Che diavolo! Capitano, voi avete molta fretta.”
“Danglars - rispose Edmond sorridendo - vi dirò ciò che Mercedes ha detto a Caderousse: non mi date un titolo che non mi appartiene... Mi porterebbe cattivo augurio.”
“Scusate - precisò Danglars - dicevo semplicemente che voi avete molta fretta. Che diavolo! C’è tempo; il Pharaon non metterà la vela che fra tre mesi.”
“Si ha sempre fretta di essere felici; quando uno ha sofferto lungamente, fa fatica a credere alla felicità. Ma non solo l’egoismo che mi fa fare tutto con una certa premura; occorre che io vada a Parigi.”
“Ah davvero? A Parigi? É la prima volta che ci andate, Dantès?”
“Sì.”
“Ci andate per affari?”
“Non per conto mio; è un'ultima commissione del nostro capitano Leclère da adempiere; voi capirete, Danglars, che questa è cosa sacra. D'altronde, state tranquillo che ci metterò solo tempo necessario per l'andata e il ritorno.”
“Sì, sì capisco - disse ad alta voce Danglars, poi soggiunse fra sé abbassando la voce - a Parigi, senza dubbio, per consegnare la lettera che gli consegnò il Capitano. Ah, perbacco! Questa lettera mi fa nascere un'idea, un'eccellente idea, perbacco! Signor Dantès, amico mio, non hai ancora dormito a bordo del Pharaon nella cabina numero 1. - poi, volgendosi a Edmond che già si allontanava - Buon viaggio!” gli gridò dietro.
“Grazie...” rispose Edmond girandosi indietro con un gesto amichevole. Quindi i due innamorati continuarono la loro strada felici e tranquilli come due anime che salgono al cielo.
Vi ricordo il link al terzo capitolo completo:
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.it/2015/04/capitolo-iii-i-catalani.html

A presto!

martedì 7 aprile 2015

I catalani (II)

Eccoci con la seconda parte del terzo capitolo. Mi raccomando, non dimenticate di darci i vostri consigli e pareri!

Si lanciò verso la porta e aprì gridando:
“Vieni, Edmond, eccomi!”
Fernand indietreggiò pallido e fremente, come fa un viaggiatore alla vista di un serpente e, urtando nella cassa, ci ricadde a sedere. Edmond e Mercedes erano tra le braccia l'una dell'altro. Il sole ardente di Marsiglia, che penetrava attraverso l'apertura della porta, li inondava in un torrente di luce. Sulle prime non videro niente di ciò che li circondava: una felicità immensa li isolava da questo mondo; non si parlavano che con quelle parole tronche che sono lo slancio della gioia più pura, così istintive e naturali da sembrare espressioni di dolore.
Ad un tratto Edmond scorse nell’ombra la figura pallida e minacciosa di Fernand; con un moto di cui egli stesso forse non si era accorto, il catalano aveva messo la mano sul coltello alla cintura.
“Scusate - disse Dantès inarcando le sopracciglia - non avevo notato che eravamo in tre.”
Poi volgendosi a Mercedes domandò:
“Chi è questo signore?”
“Sarà il tuo migliore amico, perché è il mio. È mio cugino e mio fratello, è Fernand, l'uomo che dopo di te, Edmond, amo di più su questa terra.”
Edmond, senza abbandonare Mercedes di cui teneva una mano, stese con un movimento di cordialità l'altra mano al catalano. Ma Fernand, invece di corrispondere al gesto amichevole, restò muto e immobile come una statua. Allora Edmond posò il suo sguardo sospettoso prima su Mercedes, commossa e tremante, poi su Fernand cupo e minaccioso. Questo solo sguardo gli fece tutto comprendere. La collera salì alla sua fronte.
“Non sarei venuto con tanta fretta da te, Mercedes, se avessi saputo di trovarci un nemico.”
“Un nemico! - esclamò Mercedes rivolgendo uno sguardo preoccupato al cugino - un nemico in casa mia tu dici, Edmond? Se lo credessi, ti darei subito il mio braccio e me ne andrei a Marsiglia, abbandonando questa casa per non riporvi mai più il piede.”
L'occhio di Fernand ebbe un lampo.
“Se ti accadesse una disgrazia, mio Edmond - continuò lei con lo stesso implacabile sangue freddo, che provava a Fernand che la ragazza aveva saputo leggere fin nel profondo dei suoi sinistri pensieri - se ti accadesse qualche disgrazia, salirei sul capo di Morgiou e mi getterei sugli scogli con la testa in avanti.”
Fernand divenne spaventosamente pallido.
“Ma tu ti sbagli, Edmond - continuò ancora - tu qui non hai nemici: qui non c'è che Fernand, mio fratello, che ti stringerà cordialmente la mano, come ad un amico.”
A queste parole la ragazza fissò il suo sguardo imperioso sul catalano che, come stregato da questo sguardo, si accostò lentamente a Edmond e gli tese la mano. Il suo odio, pari ad un’onda impotente per quanto furiosa, si infranse contro l'ascendente che questa donna esercitava su lui. Ma appena ebbe toccata la mano di Edmond, sentì di aver fatto tutto ciò che poteva e, slanciandosi fuori della capanna correndo come un insensato e intrecciandosi le mani nei capelli esclamava:
“Oh, chi mi libererà da quest'uomo? Povero me! Povero me!”

 “Ehi, catalano! Ehi, Fernand, dove corri?” disse una voce.
Il giovane si fermò, si guardò intorno riconobbe Caderousse seduto a tavola con Danglars sotto un pergolato di foglie di vite.
“Ehi! - disse Caderousse - Perché non vieni qui? Hai così tanta fretta da non avere il tempo di dire buongiorno agli amici?”
“Soprattutto quando hanno una bottiglia quasi piena davanti…” soggiunse Danglars.
Fernand guardò quei due uomini con occhi assenti e non rispose nulla.
“Sembra proprio stordito - disse Danglars, urtando il ginocchio di Caderousse. - possibile che ci siamo sbagliati e che Dantès trionfi in barba a quanto previsto?”
“Diavolo, dobbiamo saperlo! - disse Caderousse e, volgendosi verso il catalano - ebbene, ti decidi?” Fernand asciugò il sudore che gli grondava dalla fronte ed entrò lentamente sotto il pergolato. L'ombra sembrava restituire un po' di calma ai suoi sensi e la freschezza un poco di sollievo al corpo spossato.
“Buongiorno – disse - Mi avete chiamato, non è vero?”
E fu piuttosto un cadere che un sedersi il suo, su di una delle panche attorno alla tavola.

“Ti ho chiamato perché correvi come un pazzo, e perché ho avuto paura che andassi a gettarti in mare - disse ridendo Caderousse - che diavolo! Quando uno ha degli amici, non è soltanto per offrir loro un bicchiere di vino, ma anche per impedirgli di andare a bere tre o quattro pinte d'acqua.”
Fernand mandò un gemito che sembrava un singhiozzo e lasciò cadere la testa sopra le braccia incrociate sulla tavola.
“Ebbene! Vuoi che lo dica io, Fernand - riprese Caderousse intavolando la conversazione con quella villana brutalità della gente del popolo, alla quale la curiosità fa dimenticare ogni specie di diplomazia - hai l'aria di un amante sconfitto.” E accompagnò questo scherzo con una forte risata.
“Balle - intervenne Danglars - un giovanotto dotato della sua forza non è fatto per essere sconfitto in amore; tu ti prendi gioco di lui, Caderousse.”
“Niente affatto - riprese l’altro - non senti come sospira? Coraggio, Fernand - disse Caderousse - alza in alto il naso e rispondi. È scortese non rispondere agli amici che ti chiedono come stai.”
“La mia salute va bene” disse Fernand stringendo i pugni, ma senza alzare la testa.
“Ah, vedi, Danglars - disse Caderousse, strizzando un occhio all'amico - ecco com’è la faccenda: Fernand, che vedi qui, e che è un buono e bravo catalano, uno dei migliori pescatori di Marsiglia, è innamorato di una bella ragazza che si chiama Mercedes, ma sfortunatamente sembra che la bella ragazza sia innamorata del secondo del Pharaon. E siccome questo battello è entrato oggi stesso nel porto, tu capisci...”
“No, io non capisco niente” disse Danglars.
“Il povero Fernand avrà ricevuto il suo congedo.”
“E quindi? - disse Fernand alzando la testa e guardando Caderousse come in cerca di qualcuno con cui
sfogare la sua collera - Mercedes non dipende da nessuno, non è vero? Dunque è libera di amare chi vuole.”
“Ah! Se tu la prendi così - disse Caderousse - è tutta un’altra cosa. Ti credevo un catalano, e mi era stato detto che i catalani non si lasciano soppiantare da un rivale, e che specialmente Fernand fosse un uomo terribile nella vendetta.”
Fernand sorrise con un sorriso di pietà.
“Un innamorato non è mai terribile” disse.
“Povero ragazzo - riprese Danglars, fingendo di compiangerlo dal più profondo dell'anima - che vuoi tu? Lui non si aspettava di vedere ritornare Dantès così presto. É forse infedele, o altro? Queste cose sono tanto più sconvolgenti quanto più ci accadono all’improvviso, e senza che ce le aspettassimo.”
“In fede mia - disse Caderousse che beveva parlando, e su cui il vino di Malaga cominciava a fare il suo effetto - Fernand non è il solo che viene afflitto dal felice arrivo di Dantès. Non è vero, Danglars? Non importa – aggiunse versando un bicchiere di vino a Fernand e riempiendo il proprio per l'ottava o decima volta, mentre Danglars aveva appena assaggiato il suo - non importa, e nel frattempo lui si sposa Mercedes: almeno ritorna per questo.”
Danglars fissava uno sguardo scrutatore per scoprire cosa provasse il cuore del giovane, sul quale le parole di Caderousse cadevano come piombo liquido.
“E quando si faranno le nozze?” domandò.
“Oh, non sono ancor fatte…” mormorò Fernand.
“No, ma si faranno - disse Caderousse - così come Dantès sarà capitano del Pharaon. Non è così, Danglars?”
Danglars rabbrividì a questo colpo inatteso e si voltò verso Caderousse per capire se era stato premeditato, ma non lesse che invidia, su quel viso fattosi quasi ebete dall'ubriachezza.
“Ebbene - disse, riempiendo i bicchieri - beviamo dunque alla salute del capitano Edmond Dantès, marito della catalana!” 
Caderousse portò il bicchiere alla bocca e con mano pesante lo tracannò in un fiato. Fernand prese il suo e lo ruppe gettandolo a terra. "Eh! eh! eh! - disse Caderousse - cosa vedo sull'alto del promontorio, laggiù, verso i Catalani? Guarda tu, Fernand, che hai una vista migliore della mia; credo di cominciare a veder doppio, sai che il vino è un traditore... Si direbbe che i due amanti passeggino, tenendosi vicini vicini!”

Qui il link al capitolo completo.
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.it/2015/04/capitolo-iii-i-catalani.html
Alla prossima...

domenica 5 aprile 2015

I catalani (I)

Eccoci, dopo lungo tempo, con l'inizio del nuovo capitolo: i catalani! Mi raccomando segnalateci errori e consigli!
Chiediamo scusa se tardiamo a rispondere alle email, ogni tanto...

A cento passi dalla locanda dove i due amici bevevano lo spumoso vino di Lama lgue, con occhi e orecchie aperti, si trovava il piccolo villaggio dei Catalani, dietro ad un’altura spoglia e arida, per il sole e per il soffiare del maestrale.
Tempo prima, una colonia misteriosa partì dalla Spagna e giunse fino alla lingua di terra che abita ancora oggi. Non si sapeva da dove arrivasse e parlava una lingua sconosciuta. Uno dei capi, che capiva il provenzale, domandò alla Comune di Marsiglia di ceder loro quel promontorio, su cui avevano ritirato le navi come gli antichi marinai. La loro domanda fu accolta e tre mesi dopo si trovava un piccolo villaggio attorno ai dodici o quindici bastimenti che quegli stessi uomini avevano portato a terra. Il villaggio, costruito in modo bizzarro e pittoresco, di stile metà morisco e metà spagnolo, è quello che oggi è abitato dai lor discendenti, che ancora parlano ancora la lingua dei padri. Anche dopo tre o quattro secoli sono rimasti fedeli al piccolo promontorio in cui si erano imbattuti come uno stormo di uccelli di mare, senza mischiarsi alla popolazione marsigliese, sposandosi sempre tra loro e conservando usi e costumi della loro madre patria, così come ne hanno conservato la lingua. Ci seguano ora i nostri lettori attraverso una strada di questo villaggio ed entrino con noi in una di queste case, alle quali il sole ha dato all’esterno il bel colore delle foglie d’autunno come ai monumenti del paese, e all’interno uno strato di tinta gialla che forma l'unico ornamento delle Posadas spagnole. Una bella ragazza dai capelli neri come l'ebano e gli occhi liquidi di una gazzella stava in piedi e, appoggiata ad un tramezzo, sfrondava tra le sue dita sottili di disegno antico una tenera erica di cui strappava i fiori, già sparsi in parte a terra; le sue braccia nude fino al gomito, brune ma che sembravano modellate su quelle della Venere d'Arles, fremevano con impazienza febbrile, e lei batteva a terra il piede agile e inarcato, in modo da fare trasparire la forma pura e superba della gamba, ornata da un calza di cotone rosso a rombi grigi e azzurri. A tre passi da lei, sopra una cassa, c’era un robusto giovane di venti-ventidue anni che si dondolava con un movimento rozzo, con il gomito appoggiato ad un vecchio mobile tarlato, che la guardava con un'aria da cui si intuiva l'interno contrasto tra l'inquietudine e il dispetto.
I suoi occhi interrogavano; ma lo sguardo fermo e fisso della ragazza dominava il suo interlocutore. “Vediamo, Mercedes - diceva il giovane - fra poco sarà Pasqua, ecco un ottimo periodo per un matrimonio.”
“Vi ho risposto cento volte, Fernand, e dovete proprio volervi male ed essere nemico di voi stesso farmi ancora questa domanda.”
“Ebbene, ripetetelo ancora, vi prego, ripetetelo ancora, per convincermi; ditemi per la centesima volta che rifiutate il mio amore, malgrado l'approvazione di vostra madre; assicuratemi ancora una volta che vi prendete gioco della mia felicità, che la mia vita e la mia morte non valgono niente per voi. Ah, mio Dio! Aver sognato per dieci anni di essere vostro sposo, Mercedes, e perdere questa speranza, che era l’unico obiettivo della mia vita!”
“Ma io non ho mai incoraggiato questa speranza, Fernando - rispose Mercedes - non vi ho nemmeno mai fatto neanche un complimento. Vi ho sempre detto: "Io vi amo come un fratello, ma non desiderate mai da me altro, se non questa amicizia fraterna, poiché nel mio cuore c’è un altro!". Non vi ho sempre detto così, Fernand?”
“Sì, lo so bene, Mercedes - rispose il giovane - vi siete compiaciuta nei miei confronti del merito crudele della vostra franchezza. Ma dimenticate che c’è fra i catalani una legge sacra, che ordina di sposarci tra di noi.”
“V'ingannate, Fernand: non è una legge, ma una consuetudine, ecco tutto! Credetemi, non vi giova invocare questa consuetudine! Siete arruolato, la libertà che avete non è che semplice tolleranza. Da un momento all'altro potete essere chiamato al servizio militare e, una volta soldato, che fareste di me? Che fareste di una povera orfanella infelice, senza beni, che possiede solo una capanna quasi in rovina, a cui è attaccata qualche rete usata, miserabile eredità lasciata da mio padre a mia madre, e da mia madre a me? Da un anno è morta, pensate, Fernand, e io vivo quasi di pubblica carità. Qualche volta fingete che io vi sia utile, solo per darmi il diritto di dividere la vostra pesca; io accetto, perché siete il figlio del fratello di mio padre, perché noi siamo stati allevati assieme e, soprattutto, perché vi darei troppo dispiacere se rifiutassi. Ma capisco bene che il pesce che vado a vendere e dal quale traggo il denaro per comprare la canapa che filo, Fernand, altro non è che elemosina.”
“E che importa, Mercedes! Così povera e sola come siete mi piacete assai più che la figlia del più superbo armatore, o del più ricco banchiere di Marsiglia. Cosa desidero? Una donna onesta ed atta alle faccende domestiche. Chi potrei trovar meglio di voi da questo punto di vista?”
“Fernand - rispose Mercedes scuotendo la testa - si diventa incapaci nelle faccende domestiche e non si può garantire di restare una moglie per bene quando si ama un altro uomo, che non è il marito. Accontentatevi della mia amicizia perché, ve lo ripeto, è tutto quello che posso promettervi, e io non prometto che quanto sono sicura di mantenere.”
“Sì, lo capisco. Voi sopportate pazientemente la vostra miseria, ma avete paura della mia. Ebbene, Mercedes, se mi amerete tenterò la fortuna; voi mi porterete felicità, ed io diventerò ricco. Posso migliorare il mio stato di pescatore, posso entrare come commesso in una banca, posso diventare negoziante.”
“Voi non potete tentare niente di tutto ciò, Fernand: voi siete soldato! Se siete ancora qui, ai Catalani, è perché non c’è guerra; restate dunque pescatore, non fate sogni che renderebbero ancora più terribile la realtà, e accontentatevi della mia amicizia, perché io non posso darvi altro.”
“Avete ragione, Mercedes… sarò un marinaio! Avrò, invece del costume dei nostri padri, che disprezzate, un cappello col fiocco, una camicia a righe e una giacca azzurra con le ancore sui bottoni... Non è così che bisogna essere vestito per piacervi?”
“Cosa volete dire? - domandò Mercedes con uno sguardo imperioso – Cosa volete dire? Non vi capisco.”
“Voglio dire, Mercedes, che siete così inflessibile e crudele con me perché aspettate qualcuno vestito così. Ma quello che voi aspettate è incostante; e se non lo è, il mare lo è per lui.”
“Fernand! - esclamò Mercedes - io vi credevo buono e mi sono ingannata! Avete un cuore cattivo, invocate solo per la vostra gelosia la collera di Dio. Ebbene sì, non vi nascondo nulla, aspetto e amo colui che dite e se non tornerà, invece di accusarlo di incostanza, dirò che è morto amandomi.”
Il giovane Catalano fece un gesto di rabbia.
“Vi capisco, Fernand. Ve la prendereste con lui perché non vi amo, incrocereste il coltello catalano col suo pugnale. Ma cosa ci guadagnereste? Perdereste la mia amicizia uscendo sconfitto e vedreste cambiarsi in odio la mia amicizia uscendo vincitore. Credetemi, sfidare a duello un uomo è un pessimo mezzo per piacere alla donna che ama quell'uomo. No, Fernand, voi non vi lascerete trasportare da così perversi pensieri; se non potete avermi in moglie, vi accontenterete di avermi amica e sorella. D'altronde - aggiunse commossa e con gli occhi bagnati dalle lacrime - aspettate, aspettate, Fernand, lo avete detto or ora: il mare è perfido e sono già quattro mesi che si susseguono burrasche su burrasche!”
Fernand restò impassibile. Non cercò di asciugare le lacrime che scorrevano sulle guance di Mercedes, anche se avrebbe dato una libbra del suo sangue per ciascuna di quelle lacrime che scorrevano per un altro. Si alzò, fece un giro nella capanna, ritornò, si fermò davanti a Mercedes con lo sguardo cupo e con i pugni fortemente serrati.
“Vediamo, Mercedes – disse – ditemi, ancora una volta... Avete deciso?”
“Io amo Edmond Dantès - disse freddamente la ragazza - e nessuno se non Edmond sarà il mio sposo!”
“E lo amerete per sempre?”
“Finché avrò vita!”
Fernand chinò la testa scoraggiato ed emise un sospiro che sembrò un gemito. Ad un tratto, alzando la fronte, coi denti serrati e le narici socchiuse:
“Ma se è morto?”
“Se è morto, morirò anch’io!”
“E se vi dimentica?”
“Mercedes! - esclamò una voce felice proveniente dall’esterno della capanna - Mercedes!”
“Ah - esclamò la ragazza arrossendo di gioia, esultando d'amore - vedi bene che non mi ha dimenticata, eccolo qua!” 
Mercedes versione uno: innamorata di Dantès.