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lunedì 5 ottobre 2015

L'interrogatorio (II)

E il capitolo settimo finisce in un anticlimax terribile, con un Villefort che pare folgorato da un'idea malsana e le sorti di Dantès ancora in bilico... che succederà?
«Sì, avete ragione, voi dovete conoscere gli uomini meglio di me, non è impossibile. Ma se questi invidiosi dovessero essere tra i miei amici, vi confesso che preferirei non conoscerli per non essere costretto a odiarli.»
«Sbagliate. Bisogna sempre tenere, per quanto possibile, gli occhi aperti su quanto accade intorno, e in verità mi sembrate un così bravo giovane che per voi contravverrò alle regole ordinarie della giustizia e vi schiarirò le idee facendovi vedere la denuncia per la quale siete qui. Ecco il foglio in cui vi si accusa, riconoscete la grafia?»
E Villefort tirò fuori da una tasca la lettera e la porse a Dantès. Dantès guardò, lesse. Una nube gli oscurò la fronte. Poi disse:
«No, signore. Non conosco questa grafia, che seppure contraffatta è piuttosto franca. In ogni caso è stata una mano molto abile a vergarla. Sono ben fortunato – aggiunse guardando con riconoscenza Villefort – a trattare con un uomo come voi, perché il calunniatore è davvero un nemico.»
Vedendo il lampo che passò negli occhi del giovane mentre diceva queste parole, Villefort poté riconoscere quanta energia violenta era nascosta sotto quell’apparente dolcezza.
«Ora – disse Villefort – rispondetemi francamente e non come un uomo portato al suo giudice, ma come un uomo che si trovi in una posizione ingiusta a un altro uomo che provi ad interessarsi a lui… Cosa c’è di vero in quest’accusa anonima?»
E Villefort gettò con disprezzo la lettera che Dantès gli aveva restituito sullo scrittoio.
«Tutto e niente. Ecco la pura verità, sul mio onore di marinaio, sul mio amore per Mercedes, sulla vita di mio padre.»
«Parlate, signore» disse Villefort ad alta voce. E aggiunse tra sé: “Spero che, se Renée potesse vedermi, sarebbe contenta di me e non mi definirebbe più un tagliatore di teste!”
«Ebbene, lasciata Napoli il capitano Leclère cadde vittima di una febbre cerebrale. Non avendo un medico a bordo e non volendo lui fermarsi in nessun punto della costa frettoloso com’era di raggiungere l’isola d’Elba, la sua malattia peggiorò al punto che alla fine del terzo giorno, sentendosi vicino alla fine, mi chiamò:
“Mio caro Dantès, – mi disse – giuratemi sul vostro onore di fare tutto quello che vi dirò, si tratta di una questione del più alto interesse.”
“Ve lo giuro, capitano.” risposi.
“Ebbene, siccome dopo la mia morte spetta a voi il comando del bastimento in qualità di secondo, prenderete dunque il polso della nave e la dirigerete all’isola d’Elba, sbarcherete a Portoferraio, chiederete del gran maresciallo, gli darete questa lettera e forse lui ve ne consegnerà un’altra e vi incaricherà di qualche missione. Questa missione, che era riservata a me, la eseguirete voi al mio posto, Dantès, e tutto l’onore sarà vostro.”
“Lo farò, capitano, ma forse non riuscirò a raggiungere il gran maresciallo così facilmente come credete.”
“Ecco un anello che ve lo renderà tanto facile.” Mi consegnò un anello. Fece appena in tempo, perché poco dopo lo prese il delirio e il giorno seguente era morto.»
«E voi cosa avete fatto, a quel punto?»
«Ciò che dovevo fare, signore, quello che chiunque avrebbe fatto al mio posto. In qualsiasi situazione le preghiere di un moribondo sono sacre, ma per un marinaio le preghiere di un superiore sono ordini da eseguire. Feci dunque vela verso l’isola d’Elba, dove arrivai il giorno seguente, consegnai a bordo l’equipaggio e scesi a terra da solo. Come avevo previsto mi fecero all’inizio qualche difficoltà per introdurmi dal gran maresciallo; ma gli feci portare l’anello che serviva a farmi riconoscere e tutte le porte mi si spalancarono dinnanzi. Mi ricevette, mi interrogò sulle ultime circostanze della morte del povero Leclère e, come questi aveva previsto, mi consegnò una lettera ordinandomi di portarla di persona a Parigi. Lo promisi, perché quello era compiere le ultime volontà del mio capitano. Arrivato a terra sbrigai rapidamente tutti gli impegni di bordo e poi corsi a trovare la mia fidanzata, che trovai più bella e amorosa che mai. Sotto la protezione del signor Morrel superammo tutte le difficoltà ecclesiastiche. E alla fine, signore, stavo partecipando come vi ho detto al pranzo del mio fidanzamento. Mi sarei sposato tra un’ora e domani sarei partito per Parigi, se non per il fatto di essere stato arrestato oggi, sulla base di un’accusa che mi pare anche voi disprezziate quanto me.»
«Sì, sì – mormorò Villefort – quello che dite può essere vero e se siete colpevole lo siete solo d’imprudenza, di un’imprudenza tuttavia legittimata dagli ultimi ordini del vostro capitano. Datemi pure la lettera che vi è stata consegnata all’isola d’Elba, giuratemi sul vostro amore che vi presenterete alla prima requisitoria e andate a raggiungere i vostri amici.»
«Quindi sono libero, signore?» esclamò Dantès al colmo della gioia.
«Sì, ma prima datemi la lettera.»
«Dev’essere davanti a voi, signore, perché me l’hanno presa con tutto il resto dei documenti, ne riconosco alcuni in quel mucchio.»
«Aspettate – disse il sostituto a Dantès che stava prendendo guanti e cappello – a chi era indirizzata?»
«Al signor Noirtier, rue Coq-Héron, Parigi.»
Un fulmine dal cielo dritto su Villefort non lo avrebbe colpito in un modo più rapido e inatteso. Si lasciò cadere sulla sedia dalla quale si era alzato un poco per prendere i documenti confiscati a Dantès, prese a scorrerli precipitosamente e prese la lettera fatale, sulla cui gettò uno sguardo del più autentico terrore.
«Signor Noirtier, rue Coq-Héron, n° 13.» mormorò impallidendo sempre di più.
«Sì, signore – rispose Dantès meravigliato – lo conoscete?»
«No – rispose prontamente Villefort – un fedele suddito del re non conosce i cospiratori.»
«Si tratta dunque di una cospirazione? – chiese Dantès che si trovava ora immerso, dopo essersi creduto libero, in un terrore più grande del precedente – Comunque signore, ve l’ho detto: ignoravo del tutto il contenuto del dispaccio che portavo.»
«Sì – riprese Villefort con voce sorda – ma voi sapete il nome del destinatario!»
«Ma signore, per consegnare una lettera di persona dovrò pur sapere a chi.»
«E avete mostrato la lettera a qualcuno?» disse Villefort, che diventava sempre più pallido con l’avanzare della lettura.
«A nessuno, signore. Sul mio onore.»
«Nessuno sa quindi che avevate una lettera proveniente dall’isola d’Elba indirizzata al signor Noirtier?» «Nessuno signore, a parte chi me l’ha consegnata.»
«È troppo, questo è davvero troppo!» mormorò Villefort.
La fronte di Villefort si oscurava sempre più mentre leggeva. Le sue labbra bianche, le sue mani tremanti, i suoi occhi ardenti gettavano Dantès nella più dolorosa apprensione. Dopo la lettura Villefort si lasciò cadere la testa tra le mani e rimase fermo per un istante, annichilito.
«Oddio! Che c’è signore?» chiese timidamente Dantès.
Villefort non rispose, ma dopo qualche istante risollevò il viso pallido e scomposto e rilesse una seconda volta la lettera.
«E voi dite che ignorate il contenuto di questa lettera?» riprese Villefort.
«Sul mio onore, vi ripeto signore – disse Dantès – che non so nulla. Ma che cos’avete, dio mio! State male! volete che suoni il campanello? Che chiami qualcuno?»
«No – disse Villefort prontamente – no. Non fate nulla, non dite una parola. È mio compito dare ordini, non vostro.»
«Signore – disse Dantès mortificato – era solo per esservi d’aiuto, tutto qui.»
«Non ho bisogno di niente, è un malessere passeggero, ecco tutto. Occupatevi di voi e non di me. Rispondete.»
Dantès aspettava la domanda preannunciata da quelle parole, ma inutilmente. Villefort ricadde sulla sedia, si passò una mano fredda sulla fronte madida di sudore e per la terza volta si mise a leggere la lettera.
«Oh! Se in verità conoscesse il contenuto di questa lettera – mormorò – e un giorno venisse a sapere che Noirtier è il padre di Villefort, io sono perduto, perduto per sempre!» E di tanto in tanto guardava Edmond, come se il suo sguardo avesse potuto infrangere la barriera invisibile che racchiude nel cuore quei segreti che la bocca non dice.
«Niente esitazione, la strada è questa!» esclamò a un tratto.
«Ma, in nome del cielo, signore. – riprese il giovane sventurato – Se ancora dubitate di me o se avete dei sospetti, interrogatemi! Sono pronto a rispondervi.»
Villefort fece un notevole sforzo per controllarsi e con un tono che avrebbe voluto sicuro:
«Signore – disse – dal vostro interrogatorio risultano sospetti di gravi reati a vostro carico. Non potrò quindi, come prima speravo, di mettervi subito in libertà. Prima di concedervi tale permesso devo consultare il giudice istruttore. In ogni caso avete visto come vi ho trattato.»
«Oh! sì, signore – esclamò Dantès – e vi ringrazio perché per me siete stato un amico, più che un giudice.» «Ebbene, vi tratterrò prigioniero ancora per un po’, il meno possibile. Il principale atto d’accusa che esiste contro di voi è questa lettera, e vedete… - Villefort si avvicinò al caminetto, gettò la lettera nel fuoco e rimase immobile finché fu ridotta in cenere. - E voi vedete – continuò – che ormai non esiste più.»
«Oh! Signore, – esclamò Dantès – voi siete qualcosa di più della giustizia. Siete la bontà in persona!»
«Ma ascoltatemi – continuava Villefort – dopo quanto ho fatto capite bene che potete avere completa fiducia in me, non è vero?»
«Signore, ordinate e io eseguirò i vostri ordini.»
«No – disse Villefort avvicinandosi al giovane – no, non sono ordini che voglio darvi. Sono, lo capite, dei consigli.»
«Dite, e io farò come fossero ordini.»
«Vi farò trattenere fino a stasera al palazzo di giustizia. Forse verrà qualcun altro a interrogarvi, allora dite tutto quello che avete detto a me, ma non fate una parola su quella lettera.»
«Ve lo prometto, signore». E stavolta sembrava fosse Villefort a supplicare, ed era l’imputato a rassicurare il giudice.
«Capite – disse gettando uno sguardo sulle ceneri che conservavano ancora la forma della carta e volteggiavano sopra le fiamme – ora che quella lettera è bruciata, solo noi e voi sappiamo che è esistita. Non la vedrete mai più: negate dunque se qualcuno ve ne parla, negate sicuri e sarete salvo.»
«Negherò, signore, state tranquillo.» disse Dantès.
«Bene, bene!» disse Villefort avvicinando la mano al cordone del campanello. Poi, fermandosi subito prima di suonare:
«Era la sola lettera che avevate?» disse.
«L’unica.»
«Giuratelo.»
Dantès stese la mano.
«Lo giuro.» disse.
Villefort suonò. Il commissario di polizia entrò. Villefort si avvicinò al pubblico ufficiale e gli disse qualche parola all’orecchio, il commissario rispose con un semplice cenno della testa.
«Seguitelo, signore.» Disse Villefort a Dantès.
Dantès s’inchinò, rivolse un ultimo sguardo di riconoscenza a Villefort e uscì. Appena la porta si richiuse alla sua uscita, a Villefort mancarono le forze e cadde quasi svenuto sulla sedia. Poi, dopo un attimo:
«Oh, mio Dio – mormorò – da cosa dipendono la vita e la fortuna! Se il procuratore del re fosse stato a Marsiglia o se fosse stato chiamato il giudice istruttore invece del sostituto procuratore, sarei perduto. E quel foglio, quel maledetto foglio mi avrebbe precipitato nell’abisso. Ah, padre mio, padre mio. Sarete dunque sempre un ostacolo alla mia felicità in questo mondo? Dovrò lottare in eterno con il vostro passato?»
Poi, d’un tratto, un strana luce parve splendere nei suoi occhi e riaccese il suo viso. Un sorriso gli si aprì sulle labbra, i suoi occhi da stravolti divennero fissi, quasi si soffermassero su un pensiero.
«Sì – disse – quella lettera poteva rovinarmi, ma forse farà la mia fortuna. Via, Villefort, all’opera!»
E dopo essersi assicurato che l’imputato non si trovava più nell’anticamera, il sostituto procuratore del re uscì a sua volta e si incamminò veloce verso la casa della sua fidanzata.

A lunedì prossimo, con il capitolo ottavo, in cui scopriremo le bellezze gotiche del castello sull'isola di If.

lunedì 28 settembre 2015

L'interrogatorio (I)

Iniziamo il settimo capitolo, L'interrogatorio, con Villefort che deve lasciare la sua cena di fidanzamento per andare a rovinare quella di qualcun altro... O forse no? C'è speranza per questo
opportunista? Chi vivrà vedrà! (NO)


Appena uscito dalla sala da pranzo, Villefort lasciò cadere la sua maschera allegra per assumere quella dell’aria grave di un uomo chiamato al sommo compito di pronunciarsi sulla vita di un suo simile. Ora, malgrado la mobilità della sua fisionomia, mobilità che il sostituto aveva studiato più di una volta, come deve fare un buon attore, davanti allo specchio, questa volta ci volle un terribile sforzo per aggrottare le sopracciglia e rendere più seri i lineamenti. Trascurando il ricordo della linea politica seguita dal padre, che se non completamente dissociato dalla sua persona potrebbe essergli di intralcio per il futuro, Gérard de Villefort era felice in quel momento quanto è dato di essere a un uomo.
Già ricco d’orgini, a ventisette anni occupava un posto elevato nella magistratura e stava per sposare una bella ragazza che amava, non con passione ma razionalmente, come può amare un sostituto procuratore del re, e, oltre la bellezza, che era notevole, la signorina di Saint-Méran, la sua fidanzata, apparteneva a una delle famiglie più rispettate a corte, in quel tempo; e oltre l’influenza politica del padre e della madre che, non avendo avuto altri figli, poteva essere dedicata per intero al genero, portava anche cinquantamila scudi in dote al marito che, grazie alle speranze – parola atroce inventata dagli agenti matrimoniali – potenzialmente sarebbe potuta un giorno lievitare con un’eredità di mezzo milione. Tutti questi elementi nell’insieme componevano dunque per Villefort un quadro di felicità radiosa, al punto che gli sembrava che il sole fosse appannato quando contemplava a lungo la sua vita interiore con lo sguardo dell’anima.

[Nel testo: “Tous ces éléments réunis composaient donc pour Villefort un total de félicité éblouissant, à ce point qu'il lui semblait voir des taches au soleil, quand il avait longtemps regardé sa vie intérieure avec la vue de l'âme.”]

sabato 5 settembre 2015

Il pranzo di fidanzamento (III)

E riprende anche la nostra versione!

Concludiamo in bellezza il capitolo 5, con Danglars tutto sorridente e Caderousse ancora un po' incerto, Che sarà successo? Per leggere per intero il capitolo, ecco il link.

Intanto gli altri convitati commentavano in piccoli gruppi l’arresto, ognuno facendo la propria supposizione. «E voi, Danglars – chiese qualcuno – che pensate dell’accaduto?»
«Io – disse Danglars – credo che abbia portato qualche merce proibita»
«In questo caso lo avreste dovuto sapere, visto che siete il contabile della nave»
«Sì, è vero; ma il contabile conosce solo quanto a lui dichiarato: so che abbiamo un carico di cotone, e basta; so che abbiamo ritirato il carico ad Alessandria dal signor Pastret, e a Smirne dal signor Pascal, niente di più»
«Ora mi ricordo – mormorò il povero padre– che ieri mi ha detto di avere una cassa di caffè e una di tabacco per me»
«Vedete – disse Danglars – si tratta di questo: mentre non c’eravamo la dogana avrà fatto dei controlli a bordo del Pharaon e avrà scoperto il contrabbando»
Mercedes non lo credeva affatto; soffocato fino a quel momento il suo dolore, a un tratto scoppiò in lacrime.

lunedì 20 aprile 2015

Il pranzo di fidanzamento (II)

La seconda parte. Come annunciato, le parole all'aria di Danglars....

Questa risposta provocò una nuova esplosione di gioia e di evviva.
«E quindi quello che crediamo essere un pranzo di fidanzamento – disse Danglars – è in realtà un pranzo di nozze?»
«No – disse Dantès – state tranquilli, non ci perdete nulla. Domani mattina parto per Parigi; cinque giorni per andare e cinque per tornare, un giorno per eseguire coscienziosamente la commissione di cui sono stato incaricato, e il 12 marzo sarò di ritorno. Il 12 marzo, quindi, ci sarà il vero pranzo di nozze»
La prospettiva di un nuovo festino raddoppiò la felicità generale, al punto che papà Dantès, che all’inizio del pranzo si lamentava del silenzio, ora, in mezzo alla conversazione generale, tentava inutilmente di far udire il suo augurio di prosperità ai futuri sposi. Dantès indovinò il pensiero di suo padre e ringraziò con un sorriso pieno d’amore. Mercedes guardò l’orologio della sala e fece un piccolo segno a Edmond. Regnava nella sala, intorno al tavolo, quell’allegria rumorosa tipica della fine dei pranzi della gente di bassa condizione. Chi era poco soddisfatto del suo posto si era alzato da tavola e aveva cercato altri vicini. Tutti si parlavano uno sopra l’altro, e nessuno si preoccupava di rispondere a chi gli faceva domande.

mercoledì 15 aprile 2015

Il pranzo di fidanzamento (I)

E iniziamo con il quinto! L'inizio del corpo narrativo del romanzo sta in questo capitolo.  Da qui in avanti prende il via l'azione del protagonista, Edmond. O meglio, nella prossima parte!
Il giorno dopo fu una bella giornata, il sole si alzò puro e splendente e i suoi primi raggi di un rosso purpureo screziavano le cime spumeggianti delle onde di un meraviglioso color rubino. Il pranzo era stato preparato al primo piano della Réserve, l’osteria con il pergolato di cui abbiamo già fatto conoscenza. C’era una grande sala illuminata da cinque o sei finestre, al di sopra delle quali era scritto, senza che nessuno ne conosca il motivo, il nome di una delle grandi città della Francia; una balconata in legno collegava dall’esterno tutte le finestre.
Benché il pranzo fosse fissato per mezzogiorno, fin dalle undici del mattino la terrazza era percorsa da persone che passeggiavano impazienti. Erano i marinai del Pharaon e qualche amico di Dantès.
Tutti indossavano gli abiti migliori, per fare onore ai fidanzati. Correva voce tra gli invitati dello sposo che gli armatori del Pharaon avrebbero onorato il fidanzamento del secondo; ma questo era un tale onore per Dantès che nessuno osava crederci. Però Danglars, arrivando in compagnia di Caderousse, confermò la notizia; quella stessa mattina aveva incontrato il signor Morrel in persona, che gli aveva assicurato che sarebbe venuto al pranzo alla Réserve. Infatti, un momento dopo il signor Morrel fece il suo ingresso nella sala e fu salutato dai marinai del Pharaon con un evviva e con un mare di applausi.
La presenza dell’armatore era per loro la conferma della voce che già correva, cioè che Dantès sarebbe stato nominato capitano; e siccome Dantès era molto amato a bordo, quelle brave persone facevano capire in quel modo all’armatore che una volta tanto la scelta era in sintonia con i desideri dei subordinati.
Appena il signor Morrel fece la sua comparsa, Danglars e Caderousse furono unanimemente incaricati di andare a cercare i fidanzati: dovevano avvisarli dell’arrivo del personaggio importante il cui arrivo aveva suscitato così grande impressione, e dire loro di affrettarsi.
Danglars e Caderousse partirono di corsa, ma non avevano fatto cento passi che scorsero il piccolo gruppo che si stava avvicinando. Quel piccolo gruppo era composto di quattro ragazze catalane, amiche di Mercedes, che accompagnavano la fidanzata, alla quale Edmond teneva il braccio. Vicino alla futura sposa camminava il vecchio Dantès e dietro di loro camminava Fernand, con un sogghigno sinistro. I due poveri ragazzi erano talmente felici che non vedevano altro che se stessi e quel bel cielo che li benediceva. Danglars e Caderousse svolsero la loro missione di ambasciatori. Poi, dopo aver scambiato una stretta di mano vigorosa e amichevole con Edmond, Danglars andò sedersi vicino a Fernand e Caderousse di fianco al padre di Dantès, ora centro dell’attenzione generale.
Il vecchio indossava il suo bel vestito di seta, ornato di larghi bottoni di acciaio sfaccettati. Le gambe, sottili ma muscolose, erano coperte da magnifiche calze di cotone molto elaborato, probabilmente di contrabbando inglese. Dal suo cappello a tre punte scendevano un nastro bianco e uno azzurro. Si appoggiava a un bastone di legno lavorato e curvo nella parte superiore, come il pedum degli antichi. Pareva uno di quegli elegantoni che nel 1796 si pavoneggiavano nei giardini riaperti del Luxembourg e delle Tuileries.
Di fianco a lui, come abbiamo detto, si era messo Caderousse, che la speranza di un buon pranzo aveva fatto riconciliare con i Dantès, e a cui ormai non rimaneva nella mente che solo un vago ricordo di quanto era accaduto il giorno prima, come quando ci si sveglia al mattino con qualche memoria del sogno fatto la notte.
Danglars, avvicinandosi a Fernand, aveva gettato al catalano imbronciato uno sguardo profondo. Fernand camminava dietro ai fidanzati, completamente trascurato da Mercedes che, con l’egoismo giovanile tanto caro all’amore, aveva occhi solo per il suo Edmond. Fernand era pallido, con improvvisi rossori che lasciavano il passo a pallori sempre più evidenti.
Ogni tanto guardava verso Marsiglia e allora un fremito nervoso e involontario lo percorreva da capo a piedi. Sembrava aspettare o almeno prevedere qualche avvenimento. Dantès era vestito con semplicità. Appartenendo alla marina mercantile indossava un abito tra l’uniforme militare e l’uniforme civile; e con quest’abito il suo bell’aspetto, anche per la gioia e la bellezza della sua fidanzata, appariva superbo. Mercedes era bella come una di quelle greche di Cipro o di Cèos dagli occhi d’ebano e dalle labbra di corallo. Camminava con il passo agile e tranquillo delle andaluse. Una ragazza di città avrebbe forse cercato di nascondere la sua gioia sotto un velo o almeno sotto le palpebre, ma Mercedes sorrideva e guardava tutto ciò che aveva intorno; il suo sorriso e il suo sguardo dicevano palesemente quanto le parole avrebbero faticato: “Se mi siete amici rallegratevi, perché sono davvero molto felice”.
Quando i due fidanzati e i loro accompagnatori furono in vista della Réserve, Morrel scese e andò loro incontro, seguito dai marinai e dai soldati, con i quali era rimasto, confermando la promessa già fatta a Dantès: sarebbe stato il successore del capitano Leclère. Edmond, vedendolo arrivare, lasciò il braccio della fidanzata e lo cedette a Morrel. L’armatore e la ragazza diedero allora l’esempio e salirono per primi la scala di legno che portava alla stanza dove era stato preparato il pranzo. La scala scricchiolò per cinque minuti sotto i passi pesanti dei convitati.
«Padre mio – disse Mercedes fermandosi al centro della tavola – voi starete alla mia destra, alla mia sinistra metterò colui che fino ad ora è stato per me un fratello» e lo disse con una dolcezza che penetrò fino al fondo del cuore di Fernand come un colpo di pugnale.
Le sue labbra si contorsero e sotto il colore scuro del suo viso virile si poté vedere ancora una volta il sangue ritrarsi a poco a poco per affluire al cuore. Intanto Dantès aveva eseguito la stessa manovra: alla sua destra aveva messo il signor Morrel, alla sinistra Danglars, poi con la mano aveva fatto segno che ognuno prendesse posto a suo piacere. Per la tavola circolavano già i salami di Arles, con le carni scure e affumicate, le aragoste con il loro roseo carapace, i ricci di mare che sembrano castagne circondate da una scorza spinosa, le vongole che per i ghiottoni del Mezzogiorno sono buone più delle ostriche del Nord, e tutti qui crostacei delicati che le onde gettano sulla spiaggia sabbiosa e che i pescatori riconoscenti designano con il nome di frutti di mare.
«Che bel silenzio! – disse il vecchio Dantès gustando un bicchiere di vino giallo topazio che papà Pamphile in persona aveva portato da Mercedes – si direbbe che qui ci sono trenta persone che non chiedono altro se non di ridere…»
«Eh, un marito non è sempre allegro» disse Caderousse.
«Il fatto è – disse Dantès, – che sono troppo felice in questo momento. Se è così che intendete, caro vicino, avete ragione. La gioia talvolta fa uno strano effetto: opprime come il dolore»
Danglars osservò Fernand dal cui carattere impressionabile traspariva ogni emozione.
«Andiamo – disse – avete forse qualche timore? Mi sembra al contrario che tutto vada secondo i vostri desideri»
«Ed è proprio questo che mi spaventa  – disse Edmond – a me sembra che l’uomo non sia fatto per raggiungere così facilmente la felicità! La felicità è come quei palazzi delle isole incantate le cui porte hanno i draghi per guardiani: bisogna combattere per conquistarli e io in verità non so quale merito io abbia conquistato per ricevere la ricompensa della felicità di essere il marito di Mercedes»
«Marito, marito… – disse Caderousse ridendo – non ancora, mio caro capitano, prova a vedere per un po’ com’è fare il marito, e vedrai come sarai ricevuto!»
Mercedes arrossì. Fernand si agitava sulla sedia e rabbrividiva al minimo rumore; di tanto in tanto il catalano si asciugava grosse gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, come le prime gocce di un urgano.
«In fede mia, vicino Caderousse – disse Dantès guardando l’orologio – non è un grave errore, per così poco. Mercedes non è ancora mia moglie, è vero… Ma tra un’ora e mezza lo sarà»
Tutti gettarono un grido di sorpresa, eccetto Dantès padre, il cui largo sorriso mostrò denti ancora belli. Mercedes sorrise e non arrossì più. Fernand afferrò convulsamente l’impugnatura del coltello.
«Fra un’ora! – esclamò Danglars, anche lui impallidito – … E come?»
«Sì, amici miei – rispose Dantès – grazie alla buona reputazione del signor Morrel, l’uomo al quale dopo mio padre devo di più a questo mondo, tutte le difficoltà possono dirsi appianate: abbiamo fatto le pubblicazioni e alle due e mezzo il sindaco di Marsiglia ci attende al Palazzo della città. Essendo l’una e un quarto, non credo di essermi sbagliato poi molto nel che tra un’ora e trenta minuti Mercedes si chiamerà signora Dantès».
Fernand chiuse gli occhi: una nube di fuoco gli bruciò le palpebre; si appoggiò al tavolo per non cadere, ma nonostante tutti i suoi sforzi non poté trattenere un sordo gemito che si perse nel rumore delle risate e delle felicitazioni degli altri.
«È così che si fa, no? – disse papà Dantès – Vi sembra si possa dire che questo è perder tempo? Arrivato ieri mattina, oggi sposato! I marinai sì che sanno arrivare alla meta!»
«Ma le altre formalità?»
«Il contratto? – disse Dantès ridendo – il contratto è fatto: Mercedes non ha niente, e io nemmeno! Ci sposiamo nel regime della comunione dei beni: non è lungo da scrivere, e nemmeno da pagare!»

Vi ricordiamo che trovate l'elenco delle parti che abbiamo tradotto nella sezione "La nostra versione", oppure qui.

giovedì 9 aprile 2015

I catalani (III)

E anche il terzo capitolo è finito!!
Ecco qui la parte mancante.
“Il cielo mi perdoni! Non sanno d'esser visti... Eccoli!”
Danglars si godeva ogni piccolo cenno di sofferenza sul viso di Fernand, che si scomponeva in modo assai evidente.
“Li riconoscete, Fernand?” disse.
“Sì - rispose questi con flebile voce - sono Edmond e Mercedes.”
“Ah, vedete - disse Caderousse - li avevo riconosciuti! Che bella ragazza! E diteci quando si faranno le nozze, poiché Fernand si è ostinato a non volercelo dire.”
“Vuoi tacere? - disse Danglars, simulando di trattenere Caderousse, che con l’audacia dell'ubriaco si sforzava di piegarsi fuori dal pergolato - Cerca di tenerti dritto, e lascia agli innamorati la loro intimità. Guarda Fernand e prendi esempio da lui, è un uomo ragionevole.”
Forse Fernand, ormai al limite e punto da Danglars come il toro dai giostratori, stava per slanciarsi: si era già alzato e sembrava raccogliersi per scagliarsi contro il suo rivale, ma Mercedes, ridente e accorta, alzò la sua bella testa e fece brillare il suo sguardo limpido.
 Allora Fernand si ricordò della minaccia che aveva fatto di morire se Edmond fosse morto, e ricadde scoraggiato sulla panca. Danglars guardò quei due uomini: l'uno imbestialito dall'ubriachezza, l'altro dominato dall'amore.
“Non otterrò niente da questi imbecilli – mormorò - e ho una gran paura di essere qui fra un ubriaco ed un poltrone. Ecco un invidioso che si ubriaca con del vino, mentre dovrebbe farlo con il fiele; ecco un grande imbecille al quale viene tolta la sua bella da sotto al naso, e si accontenta di piangere e di lamentarsi come un ragazzo: e sì che ha gli occhi fulminanti degli spagnoli, dei siciliani e dei calabresi, che sanno vendicarsi così bene, e dei pugni che romperebbero la testa a un bue come la mazza del macellaio! Decisamente il destino di Edmond è dolce: sposerà la ragazza, sarà fatto capitano e ci deriderà, a meno che...- un sinistro sorriso affiorò alle labbra di Danglars - a meno che io non intervenga...” concluse.
“Ehi! - continuava a gridare Caderousse, mezzo alzato e con i pugni sulla tavola - ehi, Edmond, non hai visto dunque i tuoi amici, o sei già diventato così superbo da non parlare con loro?”
“No, mio caro Caderousse - rispose Dantès - io non sono superbo, sono felice! E la felicità acceca, credo, assai più della superbia!”
“Finalmente! Ecco una bella spiegazione - disse Caderousse – oh, buongiorno signora Dantès.”
Mercedes salutò con serietà.
“Questo ancora non è il mio nome – disse - e nel mio paese è di cattivo auspicio chiamare le ragazze con il nome del fidanzato prima che sia loro marito. Vi prego dunque di chiamarmi Mercedes.”
“Bisogna perdonare il buon vicino - disse Dantès - si sbaglia di poco.”
“Dunque le nozze sono vicine, Dantès?” disse Danglars salutando i due giovani.
“Il più presto possibile, signor Danglars: oggi ci metteremo d’accordo con mio padre e al massimo domani il pranzo di fidanzamento, qui alla Resérve. Spero che gli amici ci saranno, e ciò vuol dire che siete invitato, signor Danglars, e tu, Caderousse, non mancherai.”
“Fernand - disse Caderousse ridendo - sarà invitato anche lui?”
“Il fratello della mia sposa è anche mio fratello - disse Edmond - e sia io che Mercedes saremmo molto dispiaciuti se si allontanasse da noi in questa circostanza.”
Fernand aprì la bocca per rispondere, ma la voce gli si estinse in gola e non riuscì ad articolare le parole. “Oggi gli accordi, domani o dopo il fidanzamento! ...Che diavolo! Capitano, voi avete molta fretta.”
“Danglars - rispose Edmond sorridendo - vi dirò ciò che Mercedes ha detto a Caderousse: non mi date un titolo che non mi appartiene... Mi porterebbe cattivo augurio.”
“Scusate - precisò Danglars - dicevo semplicemente che voi avete molta fretta. Che diavolo! C’è tempo; il Pharaon non metterà la vela che fra tre mesi.”
“Si ha sempre fretta di essere felici; quando uno ha sofferto lungamente, fa fatica a credere alla felicità. Ma non solo l’egoismo che mi fa fare tutto con una certa premura; occorre che io vada a Parigi.”
“Ah davvero? A Parigi? É la prima volta che ci andate, Dantès?”
“Sì.”
“Ci andate per affari?”
“Non per conto mio; è un'ultima commissione del nostro capitano Leclère da adempiere; voi capirete, Danglars, che questa è cosa sacra. D'altronde, state tranquillo che ci metterò solo tempo necessario per l'andata e il ritorno.”
“Sì, sì capisco - disse ad alta voce Danglars, poi soggiunse fra sé abbassando la voce - a Parigi, senza dubbio, per consegnare la lettera che gli consegnò il Capitano. Ah, perbacco! Questa lettera mi fa nascere un'idea, un'eccellente idea, perbacco! Signor Dantès, amico mio, non hai ancora dormito a bordo del Pharaon nella cabina numero 1. - poi, volgendosi a Edmond che già si allontanava - Buon viaggio!” gli gridò dietro.
“Grazie...” rispose Edmond girandosi indietro con un gesto amichevole. Quindi i due innamorati continuarono la loro strada felici e tranquilli come due anime che salgono al cielo.
Vi ricordo il link al terzo capitolo completo:
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.it/2015/04/capitolo-iii-i-catalani.html

A presto!

martedì 7 aprile 2015

I catalani (II)

Eccoci con la seconda parte del terzo capitolo. Mi raccomando, non dimenticate di darci i vostri consigli e pareri!

Si lanciò verso la porta e aprì gridando:
“Vieni, Edmond, eccomi!”
Fernand indietreggiò pallido e fremente, come fa un viaggiatore alla vista di un serpente e, urtando nella cassa, ci ricadde a sedere. Edmond e Mercedes erano tra le braccia l'una dell'altro. Il sole ardente di Marsiglia, che penetrava attraverso l'apertura della porta, li inondava in un torrente di luce. Sulle prime non videro niente di ciò che li circondava: una felicità immensa li isolava da questo mondo; non si parlavano che con quelle parole tronche che sono lo slancio della gioia più pura, così istintive e naturali da sembrare espressioni di dolore.
Ad un tratto Edmond scorse nell’ombra la figura pallida e minacciosa di Fernand; con un moto di cui egli stesso forse non si era accorto, il catalano aveva messo la mano sul coltello alla cintura.
“Scusate - disse Dantès inarcando le sopracciglia - non avevo notato che eravamo in tre.”
Poi volgendosi a Mercedes domandò:
“Chi è questo signore?”
“Sarà il tuo migliore amico, perché è il mio. È mio cugino e mio fratello, è Fernand, l'uomo che dopo di te, Edmond, amo di più su questa terra.”
Edmond, senza abbandonare Mercedes di cui teneva una mano, stese con un movimento di cordialità l'altra mano al catalano. Ma Fernand, invece di corrispondere al gesto amichevole, restò muto e immobile come una statua. Allora Edmond posò il suo sguardo sospettoso prima su Mercedes, commossa e tremante, poi su Fernand cupo e minaccioso. Questo solo sguardo gli fece tutto comprendere. La collera salì alla sua fronte.
“Non sarei venuto con tanta fretta da te, Mercedes, se avessi saputo di trovarci un nemico.”
“Un nemico! - esclamò Mercedes rivolgendo uno sguardo preoccupato al cugino - un nemico in casa mia tu dici, Edmond? Se lo credessi, ti darei subito il mio braccio e me ne andrei a Marsiglia, abbandonando questa casa per non riporvi mai più il piede.”
L'occhio di Fernand ebbe un lampo.
“Se ti accadesse una disgrazia, mio Edmond - continuò lei con lo stesso implacabile sangue freddo, che provava a Fernand che la ragazza aveva saputo leggere fin nel profondo dei suoi sinistri pensieri - se ti accadesse qualche disgrazia, salirei sul capo di Morgiou e mi getterei sugli scogli con la testa in avanti.”
Fernand divenne spaventosamente pallido.
“Ma tu ti sbagli, Edmond - continuò ancora - tu qui non hai nemici: qui non c'è che Fernand, mio fratello, che ti stringerà cordialmente la mano, come ad un amico.”
A queste parole la ragazza fissò il suo sguardo imperioso sul catalano che, come stregato da questo sguardo, si accostò lentamente a Edmond e gli tese la mano. Il suo odio, pari ad un’onda impotente per quanto furiosa, si infranse contro l'ascendente che questa donna esercitava su lui. Ma appena ebbe toccata la mano di Edmond, sentì di aver fatto tutto ciò che poteva e, slanciandosi fuori della capanna correndo come un insensato e intrecciandosi le mani nei capelli esclamava:
“Oh, chi mi libererà da quest'uomo? Povero me! Povero me!”

 “Ehi, catalano! Ehi, Fernand, dove corri?” disse una voce.
Il giovane si fermò, si guardò intorno riconobbe Caderousse seduto a tavola con Danglars sotto un pergolato di foglie di vite.
“Ehi! - disse Caderousse - Perché non vieni qui? Hai così tanta fretta da non avere il tempo di dire buongiorno agli amici?”
“Soprattutto quando hanno una bottiglia quasi piena davanti…” soggiunse Danglars.
Fernand guardò quei due uomini con occhi assenti e non rispose nulla.
“Sembra proprio stordito - disse Danglars, urtando il ginocchio di Caderousse. - possibile che ci siamo sbagliati e che Dantès trionfi in barba a quanto previsto?”
“Diavolo, dobbiamo saperlo! - disse Caderousse e, volgendosi verso il catalano - ebbene, ti decidi?” Fernand asciugò il sudore che gli grondava dalla fronte ed entrò lentamente sotto il pergolato. L'ombra sembrava restituire un po' di calma ai suoi sensi e la freschezza un poco di sollievo al corpo spossato.
“Buongiorno – disse - Mi avete chiamato, non è vero?”
E fu piuttosto un cadere che un sedersi il suo, su di una delle panche attorno alla tavola.

“Ti ho chiamato perché correvi come un pazzo, e perché ho avuto paura che andassi a gettarti in mare - disse ridendo Caderousse - che diavolo! Quando uno ha degli amici, non è soltanto per offrir loro un bicchiere di vino, ma anche per impedirgli di andare a bere tre o quattro pinte d'acqua.”
Fernand mandò un gemito che sembrava un singhiozzo e lasciò cadere la testa sopra le braccia incrociate sulla tavola.
“Ebbene! Vuoi che lo dica io, Fernand - riprese Caderousse intavolando la conversazione con quella villana brutalità della gente del popolo, alla quale la curiosità fa dimenticare ogni specie di diplomazia - hai l'aria di un amante sconfitto.” E accompagnò questo scherzo con una forte risata.
“Balle - intervenne Danglars - un giovanotto dotato della sua forza non è fatto per essere sconfitto in amore; tu ti prendi gioco di lui, Caderousse.”
“Niente affatto - riprese l’altro - non senti come sospira? Coraggio, Fernand - disse Caderousse - alza in alto il naso e rispondi. È scortese non rispondere agli amici che ti chiedono come stai.”
“La mia salute va bene” disse Fernand stringendo i pugni, ma senza alzare la testa.
“Ah, vedi, Danglars - disse Caderousse, strizzando un occhio all'amico - ecco com’è la faccenda: Fernand, che vedi qui, e che è un buono e bravo catalano, uno dei migliori pescatori di Marsiglia, è innamorato di una bella ragazza che si chiama Mercedes, ma sfortunatamente sembra che la bella ragazza sia innamorata del secondo del Pharaon. E siccome questo battello è entrato oggi stesso nel porto, tu capisci...”
“No, io non capisco niente” disse Danglars.
“Il povero Fernand avrà ricevuto il suo congedo.”
“E quindi? - disse Fernand alzando la testa e guardando Caderousse come in cerca di qualcuno con cui
sfogare la sua collera - Mercedes non dipende da nessuno, non è vero? Dunque è libera di amare chi vuole.”
“Ah! Se tu la prendi così - disse Caderousse - è tutta un’altra cosa. Ti credevo un catalano, e mi era stato detto che i catalani non si lasciano soppiantare da un rivale, e che specialmente Fernand fosse un uomo terribile nella vendetta.”
Fernand sorrise con un sorriso di pietà.
“Un innamorato non è mai terribile” disse.
“Povero ragazzo - riprese Danglars, fingendo di compiangerlo dal più profondo dell'anima - che vuoi tu? Lui non si aspettava di vedere ritornare Dantès così presto. É forse infedele, o altro? Queste cose sono tanto più sconvolgenti quanto più ci accadono all’improvviso, e senza che ce le aspettassimo.”
“In fede mia - disse Caderousse che beveva parlando, e su cui il vino di Malaga cominciava a fare il suo effetto - Fernand non è il solo che viene afflitto dal felice arrivo di Dantès. Non è vero, Danglars? Non importa – aggiunse versando un bicchiere di vino a Fernand e riempiendo il proprio per l'ottava o decima volta, mentre Danglars aveva appena assaggiato il suo - non importa, e nel frattempo lui si sposa Mercedes: almeno ritorna per questo.”
Danglars fissava uno sguardo scrutatore per scoprire cosa provasse il cuore del giovane, sul quale le parole di Caderousse cadevano come piombo liquido.
“E quando si faranno le nozze?” domandò.
“Oh, non sono ancor fatte…” mormorò Fernand.
“No, ma si faranno - disse Caderousse - così come Dantès sarà capitano del Pharaon. Non è così, Danglars?”
Danglars rabbrividì a questo colpo inatteso e si voltò verso Caderousse per capire se era stato premeditato, ma non lesse che invidia, su quel viso fattosi quasi ebete dall'ubriachezza.
“Ebbene - disse, riempiendo i bicchieri - beviamo dunque alla salute del capitano Edmond Dantès, marito della catalana!” 
Caderousse portò il bicchiere alla bocca e con mano pesante lo tracannò in un fiato. Fernand prese il suo e lo ruppe gettandolo a terra. "Eh! eh! eh! - disse Caderousse - cosa vedo sull'alto del promontorio, laggiù, verso i Catalani? Guarda tu, Fernand, che hai una vista migliore della mia; credo di cominciare a veder doppio, sai che il vino è un traditore... Si direbbe che i due amanti passeggino, tenendosi vicini vicini!”

Qui il link al capitolo completo.
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.it/2015/04/capitolo-iii-i-catalani.html
Alla prossima...

domenica 5 aprile 2015

I catalani (I)

Eccoci, dopo lungo tempo, con l'inizio del nuovo capitolo: i catalani! Mi raccomando segnalateci errori e consigli!
Chiediamo scusa se tardiamo a rispondere alle email, ogni tanto...

A cento passi dalla locanda dove i due amici bevevano lo spumoso vino di Lama lgue, con occhi e orecchie aperti, si trovava il piccolo villaggio dei Catalani, dietro ad un’altura spoglia e arida, per il sole e per il soffiare del maestrale.
Tempo prima, una colonia misteriosa partì dalla Spagna e giunse fino alla lingua di terra che abita ancora oggi. Non si sapeva da dove arrivasse e parlava una lingua sconosciuta. Uno dei capi, che capiva il provenzale, domandò alla Comune di Marsiglia di ceder loro quel promontorio, su cui avevano ritirato le navi come gli antichi marinai. La loro domanda fu accolta e tre mesi dopo si trovava un piccolo villaggio attorno ai dodici o quindici bastimenti che quegli stessi uomini avevano portato a terra. Il villaggio, costruito in modo bizzarro e pittoresco, di stile metà morisco e metà spagnolo, è quello che oggi è abitato dai lor discendenti, che ancora parlano ancora la lingua dei padri. Anche dopo tre o quattro secoli sono rimasti fedeli al piccolo promontorio in cui si erano imbattuti come uno stormo di uccelli di mare, senza mischiarsi alla popolazione marsigliese, sposandosi sempre tra loro e conservando usi e costumi della loro madre patria, così come ne hanno conservato la lingua. Ci seguano ora i nostri lettori attraverso una strada di questo villaggio ed entrino con noi in una di queste case, alle quali il sole ha dato all’esterno il bel colore delle foglie d’autunno come ai monumenti del paese, e all’interno uno strato di tinta gialla che forma l'unico ornamento delle Posadas spagnole. Una bella ragazza dai capelli neri come l'ebano e gli occhi liquidi di una gazzella stava in piedi e, appoggiata ad un tramezzo, sfrondava tra le sue dita sottili di disegno antico una tenera erica di cui strappava i fiori, già sparsi in parte a terra; le sue braccia nude fino al gomito, brune ma che sembravano modellate su quelle della Venere d'Arles, fremevano con impazienza febbrile, e lei batteva a terra il piede agile e inarcato, in modo da fare trasparire la forma pura e superba della gamba, ornata da un calza di cotone rosso a rombi grigi e azzurri. A tre passi da lei, sopra una cassa, c’era un robusto giovane di venti-ventidue anni che si dondolava con un movimento rozzo, con il gomito appoggiato ad un vecchio mobile tarlato, che la guardava con un'aria da cui si intuiva l'interno contrasto tra l'inquietudine e il dispetto.
I suoi occhi interrogavano; ma lo sguardo fermo e fisso della ragazza dominava il suo interlocutore. “Vediamo, Mercedes - diceva il giovane - fra poco sarà Pasqua, ecco un ottimo periodo per un matrimonio.”
“Vi ho risposto cento volte, Fernand, e dovete proprio volervi male ed essere nemico di voi stesso farmi ancora questa domanda.”
“Ebbene, ripetetelo ancora, vi prego, ripetetelo ancora, per convincermi; ditemi per la centesima volta che rifiutate il mio amore, malgrado l'approvazione di vostra madre; assicuratemi ancora una volta che vi prendete gioco della mia felicità, che la mia vita e la mia morte non valgono niente per voi. Ah, mio Dio! Aver sognato per dieci anni di essere vostro sposo, Mercedes, e perdere questa speranza, che era l’unico obiettivo della mia vita!”
“Ma io non ho mai incoraggiato questa speranza, Fernando - rispose Mercedes - non vi ho nemmeno mai fatto neanche un complimento. Vi ho sempre detto: "Io vi amo come un fratello, ma non desiderate mai da me altro, se non questa amicizia fraterna, poiché nel mio cuore c’è un altro!". Non vi ho sempre detto così, Fernand?”
“Sì, lo so bene, Mercedes - rispose il giovane - vi siete compiaciuta nei miei confronti del merito crudele della vostra franchezza. Ma dimenticate che c’è fra i catalani una legge sacra, che ordina di sposarci tra di noi.”
“V'ingannate, Fernand: non è una legge, ma una consuetudine, ecco tutto! Credetemi, non vi giova invocare questa consuetudine! Siete arruolato, la libertà che avete non è che semplice tolleranza. Da un momento all'altro potete essere chiamato al servizio militare e, una volta soldato, che fareste di me? Che fareste di una povera orfanella infelice, senza beni, che possiede solo una capanna quasi in rovina, a cui è attaccata qualche rete usata, miserabile eredità lasciata da mio padre a mia madre, e da mia madre a me? Da un anno è morta, pensate, Fernand, e io vivo quasi di pubblica carità. Qualche volta fingete che io vi sia utile, solo per darmi il diritto di dividere la vostra pesca; io accetto, perché siete il figlio del fratello di mio padre, perché noi siamo stati allevati assieme e, soprattutto, perché vi darei troppo dispiacere se rifiutassi. Ma capisco bene che il pesce che vado a vendere e dal quale traggo il denaro per comprare la canapa che filo, Fernand, altro non è che elemosina.”
“E che importa, Mercedes! Così povera e sola come siete mi piacete assai più che la figlia del più superbo armatore, o del più ricco banchiere di Marsiglia. Cosa desidero? Una donna onesta ed atta alle faccende domestiche. Chi potrei trovar meglio di voi da questo punto di vista?”
“Fernand - rispose Mercedes scuotendo la testa - si diventa incapaci nelle faccende domestiche e non si può garantire di restare una moglie per bene quando si ama un altro uomo, che non è il marito. Accontentatevi della mia amicizia perché, ve lo ripeto, è tutto quello che posso promettervi, e io non prometto che quanto sono sicura di mantenere.”
“Sì, lo capisco. Voi sopportate pazientemente la vostra miseria, ma avete paura della mia. Ebbene, Mercedes, se mi amerete tenterò la fortuna; voi mi porterete felicità, ed io diventerò ricco. Posso migliorare il mio stato di pescatore, posso entrare come commesso in una banca, posso diventare negoziante.”
“Voi non potete tentare niente di tutto ciò, Fernand: voi siete soldato! Se siete ancora qui, ai Catalani, è perché non c’è guerra; restate dunque pescatore, non fate sogni che renderebbero ancora più terribile la realtà, e accontentatevi della mia amicizia, perché io non posso darvi altro.”
“Avete ragione, Mercedes… sarò un marinaio! Avrò, invece del costume dei nostri padri, che disprezzate, un cappello col fiocco, una camicia a righe e una giacca azzurra con le ancore sui bottoni... Non è così che bisogna essere vestito per piacervi?”
“Cosa volete dire? - domandò Mercedes con uno sguardo imperioso – Cosa volete dire? Non vi capisco.”
“Voglio dire, Mercedes, che siete così inflessibile e crudele con me perché aspettate qualcuno vestito così. Ma quello che voi aspettate è incostante; e se non lo è, il mare lo è per lui.”
“Fernand! - esclamò Mercedes - io vi credevo buono e mi sono ingannata! Avete un cuore cattivo, invocate solo per la vostra gelosia la collera di Dio. Ebbene sì, non vi nascondo nulla, aspetto e amo colui che dite e se non tornerà, invece di accusarlo di incostanza, dirò che è morto amandomi.”
Il giovane Catalano fece un gesto di rabbia.
“Vi capisco, Fernand. Ve la prendereste con lui perché non vi amo, incrocereste il coltello catalano col suo pugnale. Ma cosa ci guadagnereste? Perdereste la mia amicizia uscendo sconfitto e vedreste cambiarsi in odio la mia amicizia uscendo vincitore. Credetemi, sfidare a duello un uomo è un pessimo mezzo per piacere alla donna che ama quell'uomo. No, Fernand, voi non vi lascerete trasportare da così perversi pensieri; se non potete avermi in moglie, vi accontenterete di avermi amica e sorella. D'altronde - aggiunse commossa e con gli occhi bagnati dalle lacrime - aspettate, aspettate, Fernand, lo avete detto or ora: il mare è perfido e sono già quattro mesi che si susseguono burrasche su burrasche!”
Fernand restò impassibile. Non cercò di asciugare le lacrime che scorrevano sulle guance di Mercedes, anche se avrebbe dato una libbra del suo sangue per ciascuna di quelle lacrime che scorrevano per un altro. Si alzò, fece un giro nella capanna, ritornò, si fermò davanti a Mercedes con lo sguardo cupo e con i pugni fortemente serrati.
“Vediamo, Mercedes – disse – ditemi, ancora una volta... Avete deciso?”
“Io amo Edmond Dantès - disse freddamente la ragazza - e nessuno se non Edmond sarà il mio sposo!”
“E lo amerete per sempre?”
“Finché avrò vita!”
Fernand chinò la testa scoraggiato ed emise un sospiro che sembrò un gemito. Ad un tratto, alzando la fronte, coi denti serrati e le narici socchiuse:
“Ma se è morto?”
“Se è morto, morirò anch’io!”
“E se vi dimentica?”
“Mercedes! - esclamò una voce felice proveniente dall’esterno della capanna - Mercedes!”
“Ah - esclamò la ragazza arrossendo di gioia, esultando d'amore - vedi bene che non mi ha dimenticata, eccolo qua!” 
Mercedes versione uno: innamorata di Dantès.

giovedì 13 novembre 2014

Padre e figlio (III)

Ed infine l'ultima parte del secondo capitolo. Come al solito siamo aperti a consigli e correzioni... non esitate!

«Ebbene - disse Danglars - l'hai visto? »
«Ci siamo appena incontrati. »
«Ti ha parlato della sua speranza di diventare capitano? »
«Parla come se già lo fosse. »
«Pazienza, pazienza! - disse Danglars - Mi sembra che fantastichi un po’ troppo. »
«Diavolo! Sembra che il posto gli sia stato promesso dal signor Morrel in persona. »
«Sarà contento per quello. »
«Cioè, è molto insolente. Mi ha già offerto aiuto come se fosse un personaggio importante, e pure denaro in prestito, come se fosse un banchiere. »
«E tu avrai rifiutato. »
«Certamente, anche se avrei potuto accettare; sono stato io che gli ho messo fra le mani le prime monete bianche che ha toccato; ma Dantès non avrà più bisogno di nessuno adesso che diventerà capitano. »
«Balle! - disse Danglars - Non lo è ancora. » 
«In fede mia sarebbe una bella cosa non lo diventasse più - disse Caderousse - altrimenti non ci sarebbe più modo di potergli parlare. »
«Se lo vogliamo veramente - disse Danglars - resterà ciò che è, e forse diventerà ancora meno di quello che è. »
«Che stai dicendo? »
«Niente, parlavo tra me e me. È sempre innamorato della catalana? »
«Innamorato pazzo; è andato da lei. Mi sbaglierò, ma secondo me avrà dei dispiaceri su quel fronte. »
«Spiegati. »
«E perché? »
«È più importante di quello che credi. Di certo non ami Dantès alla follia. »
«Io non amo gli arroganti. »
«Allora raccontami ciò che sai sulla catalana. »
«Nulla di certo, ho soltanto visto alcune cose che mi fanno credere, come ti dicevo, che il futuro capitano avrà dei dispiaceri nei dintorni delle Vieilles-infirmeries. »
«E cosa hai visto? Dai, dimmelo. »
«Ebbene, ho visto che tutte le volte che entra in città, Mercedes è accompagnata da un robusto e minaccioso catalano dagli occhi neri, la pelle rossa, molto scuro, ardentissimo, e che lei chiama mio cugino. »
«Ah, veramente? E credi che questo suo cugino le faccia la corte? »
«Immagino. Che diavolo vuoi che faccia un ragazzo di ventun anni con una bella ragazza di diciassette? »
«E dici che Dantès è andato dai Catalani? »
«È uscito da casa sua poco prima di me. »
«Se andiamo dalla quella parte ci possiamo fermare alla Réserve di Papà Pamphile e aspettare notizie bevendo un bicchiere di vino di Malaga.»
«E chi ce le porterà? »
«Staremo sulla sua strada, e leggeremo sul viso di Dantès ciò che sarà successo. »
«Andiamo... - disse Caderousse – offri tu, vero? »
«Certamente... » rispose Danglars.
Ed entrambi si incamminarono con passo svelto verso il luogo indicato. Giunti là si fecero portare una bottiglia e due bicchieri. Papà Pamphile aveva visto passare Dantès neanche dieci minuti prima.
Sicuri che Dantès fosse dai Catalani, si sedettero all’ombra dei platani e delle piante di sicomori, sui cui rami un gioioso gruppetto di uccelli salutava i primi giorni della primavera.

Ecco il link al secondo capitolo (ora completo)
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.it/2014/08/capitolo-ii-padre-e-figlio.html
A presto!

martedì 11 novembre 2014

Padre e figlio (II)


Eccoci (dopo lunga pausa) con la seconda parte del secondo capitolo. Buona lettura e fateci sapere se avete consigli e cosa ne pensate!


Infatti, mentre Edmond terminava sottovoce la frase, comparve sulla porta la testa nera e barbuta di Caderousse. Era un uomo di venticinque-ventisei anni. Aveva fra le mani un pezzo di panno che, da buon sarto, preto avrebbe trasformato nei risvolti di un abito.
“Ah, eccoti dunque di ritorno, Edmond!” disse in un marcato accento marsigliese con un largo sorriso che mostrava dei bellissimi denti bianchi come l'avorio.
“Come vedi, vicino Caderousse, e pronto a servirti in qualunque cosa” rispose Dantès, mal dissimulando la freddezza con cui si propose.
“Grazie, grazie. Fortunatamente non ho bisogno di nulla, anzi qualche volta sono gli altri che hanno bisogno di me.”
Dantès ebbe un moto d’impazienza.
“Non mi riferisco a te, giovanotto: ti ho prestato del denaro e tu me lo hai reso, come si fa tra buoni vicini ora siamo pari.”
“Non si è mai pari chi ci ha aiutati - disse Dantès - quando non gli si deve più danaro gli si deve riconoscenza.”
“Perché parlarne ancora? Il passato è passato, parliamo invece del tuo felice ritorno. Ero andato al porto per cercare del panno color marrone, quando ho incontrato l'amico Danglars.
"“Tu! A Marsiglia?” gli dissi.
“Si, io stesso” rispose.
“Ti credevo a Smirne!”
“In effetti sarei potuto ancora esserci, a Smirne; vengo da lì.”
“E Edmondo? Dov'è quel bravo ragazzo?”
“Sarà di sicuro da suo padre” rispose Danglars.”
E allora mi sono precipitato qui per stringere la mano ad un amico.”
“Il nostro buon Caderousse - disse il vecchio - ci vuole davvero bene!”
“Certamente vi amo e vi stimo anche, tanto più che gli uomini onesti sono così rari... Ma sembra tu sia tornato ricco...” continuò il sarto, gettando uno sguardo fulmineo all'oro e all'argento che Dantès aveva messo sul tavolo.
Al giovane marinaio non sfuggì il lampo di cupidigia del suo vicino.
“Eh, mio dio - disse con noncuranza - questo danaro non è mio; avevo paura che in mia assenza fosse mancato qualcosa a mio padre ed egli, per rassicurarmi ha svuotato la sua borsa sul tavolo. Andiamo, padre - continuò Dantès - rimettete i soldi nel cassetto, a meno che il vicino Caderousse non ne abbia a sua volta bisogno; nel caso è sempre a sua disposizione.”
“No, giovanotto - disse Caderousse - non ho bisogno di niente. Grazie a dio lo status mantiene l'uomo... Conserva il danaro, conservalo, perché non è mai troppo! Comunque ti ringrazio per l’offerta, come se ne avessi approfittato.”
“Veniva dal cuore...” disse Dantès. 
“Non ne dubito. Ebbene, va sempre meglio con il signor Morrel, furbetto!”
“Il signor Morrel è sempre molto generoso per me...” rispose Dantès.
“In questo caso tu hai fatto male a rifiutare il suo pranzo.”
“Come, rifiutare il suo pranzo! - esclamò il vecchio - Ti aveva invitato a pranzo?”
“Sì, padre mio” rispose Edmondo sorridendo per la meraviglia di suo padre al sentire l’onore che gli aveva fatto il signor Morrel.
“E perché dunque hai rifiutato, figlio mio?” domandò il vecchio.
“Per ritornare il più presto possibile da voi, padre - rispose il giovane – volevo rivedervi.”
“Però sarà dispiaciuto a quel buon uomo del signor Morrel. - disse Caderousse - quando uno aspira a diventare il capitano, sbaglia a non fare la corte al suo armatore.”
“Gli ho spiegato la causa del mio rifiuto - rispose Dantès - e sono certo che l'ha compresa.”
“Ah, per diventare il capitano bisogna assecondare un po’ di più i padroni.”
“Spero di diventare capitano anche facendone a meno.”
“Tanto meglio, tanto meglio; farà piacere ai tuoi vecchi amici. So che c’è qualcuno laggiù dietro alla Cittadella di San Nicola che ne sarà molto contento.”
“Mercedes?” chiese il vecchio.
“Sì, padre mio - disse Dantès - e con il vostro permesso, ora che vi ho rivisto e so che state bene e anche  che avete tutto ciò di cui avete bisogno, vi chiederei il permesso di fare una visita ai Catalani.”
“Vai, figlio mio, vai - disse il vecchio Dantès - e Dio benedica te con la tua donna, come ha benedetto me con mio figlio!”
“Sua donna? - disse Caderousse - Voi esagerate forse un po’, papà Dantès; non credo lo sia ancora.”
“No - rispose Edmondo - ma non ci vorrà troppo perché lo diventi!”
“Non importa, non importa - disse Caderousse – sei arrivato in tempo.”
“E perché?”
“Perché Mercedes è una bella ragazza, e alle belle ragazze non mancano i pretendenti, soprattutto a lei! La seguivano a dozzine!”
“Davvero?” disse Edmond con un sorriso sotto cui si intravedeva un'ombra di inquietudine.
“Oh sì! - rispose Caderousse - E anche dei bei partiti! Ma lo capisci? Diventa capitano e non potrà rifiutarti.”
“Il che significa - disse Dantès con un sorriso non nascondeva affatto la sua inquietudine - che se io non diventassi capitano...”
“Eh! eh!” esclamò Caderousse.
“Andiamo, andiamo… -disse il giovane – mi fido più di voi delle donne, in generale, e soprattutto di Mercedes: sono convinto che, capitano o no, lei mi resterà ugualmente fedele.”
“Tanto meglio! Tanto meglio! - disse Caderousse. - É sempre una buona cosa che quando si sposano i giovani siano forniti di buona fede, ma non serve, credimi Dantès, non perdere tempo e corri a dirle che sei tornato e a informarla delle tue speranze.”
“Vado!” disse Edmond.
Abbracciò suo padre, salutò con un cenno della testa Caderousse e partì.
Il vicino rimase ancora un attimo poi, salutato il vecchio Dantès, se ne andò a sua volta e raggiunse Danglars, che lo aspettava all'angolo della rue Senac.

Ricordiamo il link al secondo capitolo
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.de/2014/08/capitolo-ii-padre-e-figlio.html
A presto! (aspettare e sperare...)

giovedì 14 agosto 2014

Padre e figlio (I)

Iniziamo con il secondo capitolo del romanzo!
Ecco il lavoro fatto fino ad ora. Non esitate a farci sapere cosa ne pensate, ovviamente.

Lasciamo Danglars che, alle prese col genio dell'odio, cerca di gettare all'orecchio del suo armatore qualche maligna supposizione contro il suo compagno e seguiamo invece Dantès che, dopo aver percorso la Canebière in tutta la sua lunghezza, prende la rue Noaille, entra in una piccola casa situata sul lato sinistro dei viali di Meillan, sale velocemente i quattro piani di una scala oscura, tenendosi con una mano alla ringhiera e cercando di trattenere i battiti del cuore con l'altra, e infine si ferma davanti a una porta socchiusa che lascia vedere una piccola camera.
Quella era la camera del padre di Dantès.
La notizia dell'arrivo del Pharaon non era ancora giunta al vecchio che, sopra una cassa, era occupato a piantare delle cannucce su cui sistemava con mano tremante nasturzi misti a clematidi che si arrampicavano lungo la pergola della finestra.
Ad un tratto si sentì circondare il corpo da due braccia e una voce ben conosciuta gridare da dietro
«Padre! Mio buon padre!»
Il vecchio gettò un grido e si voltò; poi, vedendo il figlio, si lasciò cadere tra le sue braccia tutto tremante e pallido.
«Che avete dunque, padre? - chiese commosso il giovane - siete ammalato?»
«No, mio caro Edmond, no; ma non ti aspettavo. E la gioia, la sorpresa di rivederti così all'improvviso... mio Dio!... mi sembra di morire!»
«Coraggio, rimettetevi, padre. Sono io, proprio io. Si dice sempre che la gioia non nuoce ed è per questo che sono entrato così, senza avvisarvi; guardatemi, sorridetemi, invece di osservarmi con occhi spaventati. Io sono tornato, e noi saremo felici!»
«Ah, tanto meglio, figlio - riprese il vecchio - ma in che modo potremo? Non mi lascerai più? Vediamo, raccontami quale fortuna ti è capitata!»
«Che il Signore mi perdoni - disse il giovane - di rallegrarmi di una fortuna che faccio con il lutto di una famiglia: ma Dio sa che non ho voluto io questa fortuna! Questo mi è capitato e io non ho la
forza di dispiacermene. Il buon capitano Leclère è morto ed è probabile che con il favore del signor Morrel io ottenga il suo posto... Capitano a vent'anni! Con cento luigi di stipendio ed una provvigione sul carico! Non è molto più di quanto potesse sperare un povero marinaio come me?»
«Sì, figlio mio, sì, infatti questa è una gioia.»
«E perciò voglio che con i primi soldi che guadagnerò voi abbiate una casetta con giardino per piantare le vostre clematidi, i vostri nasturzi ed il vostro caprifoglio. Ma cosa avete, padre? Sembra che state male!"
«Tranquillo, tranquillo, non è niente.»
E, mancandogli le forze, il vecchio cadde.
«Vediamo, vediamo - disse il giovane - un bel bicchiere di vino vi rianimerà, caro padre. Dove tenete il vino?»
«No, grazie, non lo cercare, non ne ho bisogno» disse il vecchio, tentando di trattenere il figlio.
«Lasciate fare, lasciate fare, padre.»
Ed aprì due o tre armadi.
«É inutile - disse il vecchio - non c'è più vino.»
«Come, non c'è più vino - disse Dantès impallidendo a sua volta e guardando prima l'una e l'altra delle guance smunte e increspate del vecchio e poi gli armadi vuoti - come non c'è più vino! Siete rimasto senza denaro, padre?»
«Non sono rimasto privo di nulla, perché tu sei qui.»
«Ma - balbettò Dantès asciugandosi il sudore che freddo gli colava dalla fronte - avevo lasciato duecento franchi, alla partenza, tre mesi fa.»
«Si, sì, Edmond, è vero, ma avevi dimenticato nel partire un piccolo debito con il vicino Caderousse; me lo ha ricordato, dicendomi che se non avessi pagato io per te, sarebbe andato a farsi pagare dal signor Morrel. Allora capisci... per paura che ti compromettesse...»
«Quindi?»
«Quindi ho pagato io per te.»
«Ma - esclamò Dantès - il mio debito con Caderousse era di 140 franchi! E li avete pagati con i duecento franchi che vi ho lasciato?»
Il vecchio fece un segno affermativo con la testa.
«Ma allora avete vissuto - mormorò il giovane - per tre mesi con solo sessanta franchi!»
«Sai di quanto poco io abbia bisogno e di come mi accontenti.»
«Oh mio Dio! Mio Dio! Padre, perdonatemi!» esclamò Edmond, gettandosi ai piedi del buon vecchio.
«Che fai adesso?»
«Ah, mi avete trafitto il cuore!»
«Tu sei qui - disse il vecchio sorridendo - ora tutto è dimenticato, tu stai bene.»
«Sì, io sono qui; eccomi con un buon futuro davanti e con un po' di denaro. Prendete, padre – disse - prendete e inviate subito qualcuno a comprare quello che vi serve.»
E vuotò sulla tavola la borsa che conteneva una dozzina di monete d'oro, cinque o sei scudi da cinque franchi e degli spiccioli.
Il viso del vecchio si turbò.
«Di chi è quel denaro?»
«Mio, tuo, nostro, prendete: comprate delle provviste e state felice, domani ve ne sarà dell'altro.»
«Con calma, con calma - disse il vecchio sorridendo – con il tuo permesso farò uso della borsa, ma con moderazione. Se la gente mi vedesse fare grandi provviste direbbe che ero obbligato ad aspettare il tuo ritorno per fare acquisti.»
«Fate come vi aggrada, ma prima di ogni altra cosa assumete una persona di servizio, non voglio più che usciate di casa solo. Ho del caffè, e dell'eccellente tabacco di contrabbando in una cassetta nel fondo della stiva; ve la porto domani. Ma silenzio, sento arrivare qualcuno.»
«Sarà Caderousse che, avendo saputo del tuo arrivo, viene a salutare.»
«Bene, ecco altre labbra che dicono cose che non pensa il cuore. Ma – mormorò Edmond - è pur sempre un vicino che ci ha reso un favore; che sia il benvenuto!»


Ecco il link al secondo capitolo
http://il-conte-di-montecristo.blogspot.de/2014/08/capitolo-ii-padre-e-figlio.html

A presto!

sabato 9 agosto 2014

Marsiglia - L'arrivo (III)

Ecco la conclusione del primo capitolo del romanzo.. fateci sapere cosa ne pensate!!

era Policarpo Morrel, mio zio, che divenne capitano; Dantès, dite a mio zio che l'Imperatore si è ricordato di lui e vedrete piangere quel vecchio brontolone. Andiamo, andiamo - continuò il vecchio armatore battendo amichevolmente la mano sulla spalla del giovane -
voi avete fatto bene ad eseguire le istruzioni del capitano Leclère e fermarvi all'isola d'Elba, anche se, se si venisse a sapere che voi avete consegnato un plico al Maresciallo e parlato coll'Imperatore, il fatto potrebbe senza dubbio compromettervi.>>
<<Come volete voi che ciò comprometta - disse Dantès - io non so neppure ciò che ho consegnato e l'Imperatore non mi ha fatto che quelle domande, che avrebbe posto al primo arrivato... Ma scusate - riprese Dantès - ecco la Sanità e la Dogana che giungono. Voi permettete, non è vero?>>
<<Fate, fate pure, mio caro Dantès.>>
Il giovane si allontanò, e mentre si allontanava, Danglars si accostava.<<Ebbene - chiese - ha addotto buone ragioni sulla sua fermata a Portoferraio?>>
<<Eccellenti, mio caro Danglars.>>

<<Ah, tanto meglio - rispose questi - perché è sempre cosa spiacevole vedere un compagno che non fa il proprio dovere.>>
<<Dantès ha fatto il suo - rispose l'armatore - e non c'è nulla da ridire. Fu il capitano Leclère ad ordinargli questa fermata.>>

<<A proposito del capitano Leclère, vi ha consegnato una sua lettera?"
<<A me? No. Ne aveva da consegnarmi?>>
<<Credevo che oltre al plico, il capitano Leclère gli avesse affidato una lettera.>>
<<Di quale plico parlate?>>
<<Di quello che Dantès ha lasciato nella visita a Portoferraio.>>
<<E come sapete che aveva un plico per Portoferraio?>>
Danglars arrossì.

<<Passavo davanti alla porta del capitano, che era socchiusa, e lo vidi consegnare a Dantès il plico e la lettera.>>
<<Non me ne ha parlato - disse l'armatore - ma se ha questa lettera, me la consegnerà.>>
Danglars rifletté un istante.

<<Allora, signor Morrel, vi prego - disse - di non parlarne a Dantès; mi sarò ingannato.>>
In quel momento il giovane fece ritorno e Danglars si allontanò.

<<Ebbene, mio caro Dantès, siete libero?>> domandò l'armatore.
<<Sì, signore.>>
<<La cosa non è stata lunga.>>
<<No, ho consegnato alla Dogana la lista delle vostre mercanzie; e, quanto alla consegna, è arrivato con il pilota costiero un uomo a cui ho consegnato le mie carte.>>
<<Allora non avete più niente a fare qui?>>
Dantès gettò uno sguardo rapido intorno a sé.

<<No, qui tutto è in ordine.>>
<<Potete dunque venire a pranzo con noi?>>
<<Scusatemi, signor Morrel, scusatemi, ve ne prego, ma la prima visita la devo a mio padre. Non sono però meno riconoscente per l'onore che mi fate.>>
<<É giusto, Dantès, è giusto: so che siete un buon figlio.>>
<<E... - domandò Dantès con una certa esitazione, - sta bene mio padre, che voi sappiate?>>
<<Io credo di sì, mio caro Edmondo, anche se non l'ho visto di persona.>>
<<Sì, si tiene ritirato nella sua stanzetta.>>
<<Ciò prova, per lo meno, che non ha avuto bisogno di nulla durante la vostra assenza.>>
Dantès sorrise.

<<Mio padre è altero, signore, e anche nel caso fosse stato sprovvisto di tutto, non avrebbe chiesto nulla a nessuno, eccetto che a Dio.>>
<<Ebbene, dopo questa prima visita, noi contiamo su voi.>>
<<Scusatemi di nuovo, signor Morrel, ma dopo questa prima visita, io ne farò un'altra che non mi sta meno a cuore.>>
<<Ah, è vero, Dantès, dimenticavo che tra i Catalani c'è qualcuno che deve aspettarvi con non meno impazienza di vostro padre; la bella Mercedes.>>
Dantès arrossi.

<<Ah! ah! - disse l'armatore - non mi sorprende più che sia venuta tre volte a domandare notizie del Faraone. Perbacco, Edmond, voi non siete da compiangere: avete proprio una graziosa amica.>>
<<Non è mia amica, ma - disse il marinaio con aria seria - è la mia fidanzata.>>
<<Qualche volta sono una cosa sola>> disse ridendo l'armatore.
<<Ma non per noi>> rispose Dantès.
<<Andiamo, andiamo, mio caro Edmond! - continuò l'armatore - non voglio trattenervi di più. Voi avete fatto i miei affari abbastanza bene perché io vi lasci fare i vostri con comodità. Avete bisogno di denaro?>>
<<No, signore, ho tutti i miei stipendi del viaggio, cioè quasi tre mesi di risparmi.>>
<<Voi siete un giovane previdente, Edmond!>>
<<Ricordate che ho un padre povero, signor Morrel.>>
<<Sì, sì, so bene che siete un buon figliolo! Andate dunque a veder vostro padre. Anch'io ho un figlio e non saprei perdonare quacuno che dopo tre mesi di viaggio lo tenesse lontano da me.>>
<<Dunque mi permettete di andare?>> disse il giovane salutandolo.

<<Sì, se non avete altro da dirmi.>>
<<No.>>
<<Il capitano Leclère non vi ha dato, morendo, una lettera per me?>>
<<Gli sarebbe stato impossibile scrivere, ma ciò mi ricorda che avrei un congedo di qualche giorno da chiedere.>>

<<Per prender moglie?>>
<<Prima di tutto per quello, poi per andare a Parigi.>>
<<Bene, bene! Prenderete il tempo che vorrete, Dantès. Non ci vorranno meno di sei settimane per scaricare il bastimento, e non ci rimetteremo in mare prima di tre mesi. Sarà opportuno che vi facciate trovare qui fra tre mesi. Il Pharaon - continuò l'armatore battendo sulla spalla del giovane marinaio - non potrebbe partire senza il suo capitano.>>
<<Senza il suo capitano! - esclamò Dantès con gli occhi sfavillanti di gioia - prestate attenzione a ciò che dite, signore, poiché rispondete alle più segrete speranze del mio cuore; avreste intenzione di nominarmi capitano del Pharaon?>>
<<Se fossi da solo vi stenderei la mano, mio caro Dantès, e vi direi: è fatto; ma ho un socio, e voi sapete l'antico proverbio toscano, chi ha compagno, ha padrone. Ma metà dell'affare è fatto: su due voti ne avete già uno. Per avere l'altro, fidatevi di me. Farò del mio meglio.>>
<<Oh, signor Morrel - esclamò il giovane marinaio, stringendo le mani dell'armatore con le lacrime agli occhi - signor Morrel, vi ringrazio in nome di mio padre e di Mercedes.>>
<<Va bene, va bene Edmond. C'è un Dio in cielo per la brava gente. Andate a vedere vostro padre, fate visita a Mercedes, poi ritornate da me.>>
<<Non volete che vi riporti a terra?>>
<<No, grazie, rimango a regolare i conti con Danglars. Siete rimasto contento di lui durante il viaggio?>>
<<Secondo il senso che voi date a questa domanda; se per la fedeltà del compagno di viaggio no, perché io credo che non mi stimi, dal giorno in cui ebbi la debolezza, in seguito ad uno scontro, di proporgli di fermarci dieci minuti sull'isola di Montecristo per terminare questa contesa; proposta, questa, che io ebbi torto di fare e che egli ebbe ragione di rifiutare. Se è per lo scrivano che mi fate questa domanda, credo che non ci sia nulla da dire, e sarete contento del modo con cui ha svolto il suo compito.>>
<<Ma - domandò l'armatore - se foste capitano del Pharaon terreste Danglars con piacere?>>

<<Capitano, o secondo - rispose Dantès - avrò sempre i più grandi riguardi per coloro che godono della fiducia dei miei armatori.>>
<<Andiamo, andiamo, Dantès, vedo bene che siete un bravo ragazzo sotto tutti i punti di vista. Non voglio trattenervi più a lungo. Andate, perché sembra che abbiate la brace sotto i piedi!>>
<<Arrivederci, signor Morrel, e grazie mille.>>
<<Arrivederci, mio caro Edmond, e buona fortuna!>>
Il giovane marinaio saltò sulla lancia, andò a sedersi a poppa e ordinò di approdare alla Canebière.
Due marinai si piegarono sui loro remi e la barca fuggì con la velocità che è possibile avere in mezzo a mille barche che ingombrano quella specie di angusta strada che conduce, fra due file di navigli, dall'entrata del porto allo scalo di Orléans. Sorridendo, l'armatore lo seguì con gli occhi fino alla spiaggia, lo vide saltare sui gradini dello scalo e perdersi subito in mezzo alla folla variopinta che dalle cinque del mattino alle nove della sera ingombra la famosa strada della Canebière, di cui i Phocéens moderni sono tanto orgogliosi da dire, con la più gran serietà del mondo e con l'accento che imprime tanto carattere a ciò che dicono: <<Se Parigi avesse la Canebière, Parigi sarebbe una piccola Marsiglia.>>

Girandosi l'armatore vide Danglars, all'apparenza in attesa dei suoi ordini ma in realtà intento come lui a seguire il giovane marinaio con lo sguardo. C'era soltanto una grandissima diversità nell'espressione di questo doppio sguardo diretto alla stessa persona.

Intanto qui potete trovare il link al primo capitolo, versione integrale!
Capitolo I: Marsiglia - L'arrivo.
A Presto!