lunedì 5 gennaio 2009

Capitolo V: Il pranzo di fidanzamento

Il giorno dopo fu una bella giornata, il sole si alzò puro e splendente e i suoi primi raggi di un rosso purpureo screziavano le cime spumeggianti delle onde di un meraviglioso color rubino. Il pranzo era stato preparato al primo piano della Réserve, l’osteria con il pergolato di cui abbiamo già fatto conoscenza. C’era una grande sala illuminata da cinque o sei finestre, al di sopra delle quali era scritto, senza che nessuno ne conosca il motivo, il nome di una delle grandi città della Francia; una balconata in legno collegava dall’esterno tutte le finestre.
Benché il pranzo fosse fissato per mezzogiorno, fin dalle undici del mattino la terrazza era percorsa da persone che passeggiavano impazienti. Erano i marinai del Pharaon e qualche amico di Dantès.
Tutti indossavano gli abiti migliori, per fare onore ai fidanzati. Correva voce tra gli invitati dello sposo che gli armatori del Pharaon avrebbero onorato il fidanzamento del secondo; ma questo era un tale onore per Dantès che nessuno osava crederci. Però Danglars, arrivando in compagnia di Caderousse, confermò la notizia; quella stessa mattina aveva incontrato il signor Morrel in persona, che gli aveva assicurato che sarebbe venuto al pranzo alla Réserve. Infatti, un momento dopo il signor Morrel fece il suo ingresso nella sala e fu salutato dai marinai del Pharaon con un evviva e con un mare di applausi.
La presenza dell’armatore era per loro la conferma della voce che già correva, cioè che Dantès sarebbe stato nominato capitano; e siccome Dantès era molto amato a bordo, quelle brave persone facevano capire in quel modo all’armatore che una volta tanto la scelta era in sintonia con i desideri dei subordinati.
Appena il signor Morrel fece la sua comparsa, Danglars e Caderousse furono unanimemente incaricati di andare a cercare i fidanzati: dovevano avvisarli dell’arrivo del personaggio importante il cui arrivo aveva suscitato così grande impressione, e dire loro di affrettarsi.
Danglars e Caderousse partirono di corsa, ma non avevano fatto cento passi che scorsero il piccolo gruppo che si stava avvicinando. Quel piccolo gruppo era composto di quattro ragazze catalane, amiche di Mercedes, che accompagnavano la fidanzata, alla quale Edmond teneva il braccio. Vicino alla futura sposa camminava il vecchio Dantès e dietro di loro camminava Fernand, con un sogghigno sinistro. I due poveri ragazzi erano talmente felici che non vedevano altro che se stessi e quel bel cielo che li benediceva. Danglars e Caderousse svolsero la loro missione di ambasciatori. Poi, dopo aver scambiato una stretta di mano vigorosa e amichevole con Edmond, Danglars andò sedersi vicino a Fernand e Caderousse di fianco al padre di Dantès, ora centro dell’attenzione generale.
Il vecchio indossava il suo bel vestito di seta, ornato di larghi bottoni di acciaio sfaccettati. Le gambe, sottili ma muscolose, erano coperte da magnifiche calze di cotone molto elaborato, probabilmente di contrabbando inglese. Dal suo cappello a tre punte scendevano un nastro bianco e uno azzurro. Si appoggiava a un bastone di legno lavorato e curvo nella parte superiore, come il pedum degli antichi. Pareva uno di quegli elegantoni che nel 1796 si pavoneggiavano nei giardini riaperti del Luxembourg e delle Tuileries.
Di fianco a lui, come abbiamo detto, si era messo Caderousse, che la speranza di un buon pranzo aveva fatto riconciliare con i Dantès, e a cui ormai non rimaneva nella mente che solo un vago ricordo di quanto era accaduto il giorno prima, come quando ci si sveglia al mattino con qualche memoria del sogno fatto la notte.
Danglars, avvicinandosi a Fernand, aveva gettato al catalano imbronciato uno sguardo profondo. Fernand camminava dietro ai fidanzati, completamente trascurato da Mercedes che, con l’egoismo giovanile tanto caro all’amore, aveva occhi solo per il suo Edmond. Fernand era pallido, con improvvisi rossori che lasciavano il passo a pallori sempre più evidenti.
Ogni tanto guardava verso Marsiglia e allora un fremito nervoso e involontario lo percorreva da capo a piedi. Sembrava aspettare o almeno prevedere qualche avvenimento. Dantès era vestito con semplicità. Appartenendo alla marina mercantile indossava un abito tra l’uniforme militare e l’uniforme civile; e con quest’abito il suo bell’aspetto, anche per la gioia e la bellezza della sua fidanzata, appariva superbo. Mercedes era bella come una di quelle greche di Cipro o di Cèos dagli occhi d’ebano e dalle labbra di corallo. Camminava con il passo agile e tranquillo delle andaluse. Una ragazza di città avrebbe forse cercato di nascondere la sua gioia sotto un velo o almeno sotto le palpebre, ma Mercedes sorrideva e guardava tutto ciò che aveva intorno; il suo sorriso e il suo sguardo dicevano palesemente quanto le parole avrebbero faticato: “Se mi siete amici rallegratevi, perché sono davvero molto felice”.
Quando i due fidanzati e i loro accompagnatori furono in vista della Réserve, Morrel scese e andò loro incontro, seguito dai marinai e dai soldati, con i quali era rimasto, confermando la promessa già fatta a Dantès: sarebbe stato il successore del capitano Leclère. Edmond, vedendolo arrivare, lasciò il braccio della fidanzata e lo cedette a Morrel. L’armatore e la ragazza diedero allora l’esempio e salirono per primi la scala di legno che portava alla stanza dove era stato preparato il pranzo. La scala scricchiolò per cinque minuti sotto i passi pesanti dei convitati.
«Padre mio – disse Mercedes fermandosi al centro della tavola – voi starete alla mia destra, alla mia sinistra metterò colui che fino ad ora è stato per me un fratello» e lo disse con una dolcezza che penetrò fino al fondo del cuore di Fernand come un colpo di pugnale.
Le sue labbra si contorsero e sotto il colore scuro del suo viso virile si poté vedere ancora una volta il sangue ritrarsi a poco a poco per affluire al cuore. Intanto Dantès aveva eseguito la stessa manovra: alla sua destra aveva messo il signor Morrel, alla sinistra Danglars, poi con la mano aveva fatto segno che ognuno prendesse posto a suo piacere. Per la tavola circolavano già i salami di Arles, con le carni scure e affumicate, le aragoste con il loro roseo carapace, i ricci di mare che sembrano castagne circondate da una scorza spinosa, le vongole che per i ghiottoni del Mezzogiorno sono buone più delle ostriche del Nord, e tutti qui crostacei delicati che le onde gettano sulla spiaggia sabbiosa e che i pescatori riconoscenti designano con il nome di frutti di mare.
«Che bel silenzio! – disse il vecchio Dantès gustando un bicchiere di vino giallo topazio che papà Pamphile in persona aveva portato da Mercedes – si direbbe che qui ci sono trenta persone che non chiedono altro se non di ridere…»
«Eh, un marito non è sempre allegro» disse Caderousse.
«Il fatto è – disse Dantès, – che sono troppo felice in questo momento. Se è così che intendete, caro vicino, avete ragione. La gioia talvolta fa uno strano effetto: opprime come il dolore»
Danglars osservò Fernand dal cui carattere impressionabile traspariva ogni emozione.
«Andiamo – disse – avete forse qualche timore? Mi sembra al contrario che tutto vada secondo i vostri desideri»
«Ed è proprio questo che mi spaventa  – disse Edmond – a me sembra che l’uomo non sia fatto per raggiungere così facilmente la felicità! La felicità è come quei palazzi delle isole incantate le cui porte hanno i draghi per guardiani: bisogna combattere per conquistarli e io in verità non so quale merito io abbia conquistato per ricevere la ricompensa della felicità di essere il marito di Mercedes»
«Marito, marito… – disse Caderousse ridendo – non ancora, mio caro capitano, prova a vedere per un po’ com’è fare il marito, e vedrai come sarai ricevuto!»
Mercedes arrossì. Fernand si agitava sulla sedia e rabbrividiva al minimo rumore; di tanto in tanto il catalano si asciugava grosse gocce di sudore che gli imperlavano la fronte, come le prime gocce di un urgano.
«In fede mia, vicino Caderousse – disse Dantès guardando l’orologio – non è un grave errore, per così poco. Mercedes non è ancora mia moglie, è vero… Ma tra un’ora e mezza lo sarà»
Tutti gettarono un grido di sorpresa, eccetto Dantès padre, il cui largo sorriso mostrò denti ancora belli. Mercedes sorrise e non arrossì più. Fernand afferrò convulsamente l’impugnatura del coltello.
«Fra un’ora! – esclamò Danglars, anche lui impallidito – … E come?»
«Sì, amici miei – rispose Dantès – grazie alla buona reputazione del signor Morrel, l’uomo al quale dopo mio padre devo di più a questo mondo, tutte le difficoltà possono dirsi appianate: abbiamo fatto le pubblicazioni e alle due e mezzo il sindaco di Marsiglia ci attende al Palazzo della città. Essendo l’una e un quarto, non credo di essermi sbagliato poi molto nel che tra un’ora e trenta minuti Mercedes si chiamerà signora Dantès».
Fernand chiuse gli occhi: una nube di fuoco gli bruciò le palpebre; si appoggiò al tavolo per non cadere, ma nonostante tutti i suoi sforzi non poté trattenere un sordo gemito che si perse nel rumore delle risate e delle felicitazioni degli altri.
«È così che si fa, no? – disse papà Dantès – Vi sembra si possa dire che questo è perder tempo? Arrivato ieri mattina, oggi sposato! I marinai sì che sanno arrivare alla meta!»
«Ma le altre formalità?»
«Il contratto? – disse Dantès ridendo – il contratto è fatto: Mercedes non ha niente, e io nemmeno! Ci sposiamo nel regime della comunione dei beni: non è lungo da scrivere, e nemmeno da pagare!»
Questa risposta provocò una nuova esplosione di gioia e di evviva.
«E quindi quello che crediamo essere un pranzo di fidanzamento – disse Danglars – è in realtà un pranzo di nozze?»
«No – disse Dantès – state tranquilli, non ci perdete nulla. Domani mattina parto per Parigi; cinque giorni per andare e cinque per tornare, un giorno per eseguire coscienziosamente la commissione di cui sono stato incaricato, e il 12 marzo sarò di ritorno. Il 12 marzo, quindi, ci sarà il vero pranzo di nozze»
La prospettiva di un nuovo festino raddoppiò la felicità generale, al punto che papà Dantès, che all’inizio del pranzo si lamentava del silenzio, ora, in mezzo alla conversazione generale, tentava inutilmente di far udire il suo augurio di prosperità ai futuri sposi. Dantès indovinò il pensiero di suo padre e ringraziò con un sorriso pieno d’amore. Mercedes guardò l’orologio della sala e fece un piccolo segno a Edmond. Regnava nella sala, intorno al tavolo, quell’allegria rumorosa tipica della fine dei pranzi della gente di bassa condizione. Chi era poco soddisfatto del suo posto si era alzato da tavola e aveva cercato altri vicini. Tutti si parlavano uno sopra l’altro, e nessuno si preoccupava di rispondere a chi gli faceva domande.
Il pallore di Fernand era passato identico alle guance di Danglars; e il primo sembrava ormai senza vita, un dannato in un lago di fuoco. Si era alzato tra i primi e camminava per tutta la sala, cercando di isolare i suoi orecchi dal rumore delle canzoni e dal cozzare dei bicchieri. Caderousse gli si avvicinò nel momento in cui Danglars, del quale sembrava voler evitare la compagnia, lo raggiungeva in un angolo della sala.
«In verità – disse Caderousse, a cui soprattutto il buon vino di papà Pamphile aveva tolto i resti dell’odio di cui la felicità inattesa di Dantès aveva gettato i germi nella sua anima – in verità Dantès è un galantuomo e quando lo vedo seduto vicino alla sua fidanzata mi dico che sarebbe stato davvero cattivo fargli il brutto scherzo che tramavate ieri»
«Tu stesso hai visto – disse Danglars – che la cosa non è andata oltre alla fantasia. Il povero Fernand era così sconvolto che sulle prime mi aveva fatto pena; ma dal momento che ha scelto di essere il primo testimone alle nozze del suo rivale, non c’è più niente da dire a riguardo»
Caderousse guardò Fernand. Era livido.
«Il sacrificio è tanto più grande – continuò Danglars – in quanto la ragazza è molto bella. Accidenti, che fortunato furbetto è il mio futuro capitano! Vorrei chiamarmi Dantès, anche solo per dodici ore»
«Partiamo? – disse Mercedes – suonano le due e ci aspettano per le due e un quarto»
«Sì sì, partiamo subito» disse deciso Dantès.
In quello stesso istante Danglars, che non perdeva di vista Fernand, fisso al davanzale della finestra, lo vide spalancare due occhi spaventati, alzarsi come per un sussulto e ricadere al suo posto. Quasi simultaneo risuonò per le scale un rumore sordo: il rumore di passi e il brusio confuso di voci, accompagnati dal cozzare di armi, superò le rumorose esclamazioni dei convitati e attirò l’attenzione generale, che si manifestò all’istante con un inquieto silenzio.
Il rumore si fece vicino: risuonarono tre colpi alla porta. Ognuno guardò il proprio vicino con sguardo sorpreso.
«In nome della legge!» gridò una voce vibrante, alla quale nessuno rispose.
La porta si spalancò e un commissario, cinto della sua sciarpa, entrò nella sala seguito da quattro soldati armati e relativo caporale. L’inquietudine cedette ora al terrore.
«Che succede? – chiese l’armatore facendosi avanti, rivolto al commissario che conosceva –Certamente, signore, ci dev’essere un errore»
«Se c’è un errore, signor Morrel – rispose il commissario – state certo che sarà riparato. Intanto porto con me un mandato d’arresto, e anche se eseguo quest’ordine con dispiacere, sono obbligato ad eseguirlo: chi di voi, signori, è Edmond Dantès?»
Tutti gli sguardi ricaddero sul giovane che, di certo scosso ma fermo nella sua dignità, fece un passo avanti e disse: «Sono io, signore, che cosa volete da me?»
«Edmond Dantès – riprese il commissario – in nome della legge siete in arresto»
«Mi arrestate! – disse Edmond con un leggero pallore – ma perché sono in arresto?»
«Io, signore, non lo so; ma voi lo saprete di certo al vostro primo interrogatorio»
Morrel capì che non c’era niente da fare contro l’evoluzione della situazione, almeno per il momento: un commissario cinto della sua sciarpa non è più un uomo, è l’esecutore della legge. Il vecchio invece si precipitò verso l’ufficiale; ci sono cose che il cuore di un padre o di una madre non capiranno mai. Pregò e supplicò, ma lacrime e preghiere non poterono nulla; la sua disperazione era tuttavia così grande che il commissario ne rimase commosso.
«Signore – disse – state tranquillo. Forse vostro figlio ha trascurato qualche formalità di dogana o di sanità e molto probabilmente quando avrà dato le dovute spiegazioni sarà rimesso in libertà»
«Ma tutto questo che significa?» chiese Caderousse aggrottando le sopracciglia a Danglars che fingeva di essere sorpreso.
«E che ne so io? – disse Danglars – Sono nella tua stessa situazione: vedo quello che accade e non ci capisco niente»
Caderousse cercò con gli occhi Fernand: era scomparso. Tutta la scena del giorno prima gli si materializzò nella mente con terribile chiarezza. Si sarebbe detto che la catastrofe riuscisse nel sollevare il velo che l’ubriachezza del giorno prima aveva calato tra lui e la sua memoria.
«Ehi ehi!– disse con voce rauca – sarebbe questa la conseguenza dello scherzo di cui parlavi ieri, Danglars? In questo caso, guai a chi l’avesse messa in atto, perché sarebbe una vera infamia»
«Niente affatto. – esclamò Danglars – Sai bene che invece ho stracciato il foglio»
«Non l’hai stracciato! – esclamò Caderousse – L’hai spiegazzato e gettato in un angolo, non l’hai stracciato!»
«Taci, che non hai visto nulla. Eri ubriaco»
«Dov’è Fernand?» chiese Caderousse.
«E che ne so! – rispose Danglars – Sarà andato a farsi i fatti suoi. Ma invece di occuparci di questo, cerchiamo di consolare i poveri afflitti»
Infatti, mentre aveva luogo questa conversazione, Edmond aveva stretto sorridente la mano a tutti gli amici e si era costituito prigioniero dicendo: «State tranquilli, l’errore sarà presto chiarito e probabilmente non arriverò neppure alla prigione»
«Oh, certamente, ne risponderei io» disse Danglars che in quel momento si stava avvicinando, come abbiamo detto, al gruppo principale. Dantès scese la scala preceduto dal commissario di polizia e circondato dai soldati. Una carrozza con lo sportello aperto aspettava davanti alla porta; salì e due soldati e il commissario dopo di lui. Lo sportello si richiuse, e la carrozza riprese la via di Marsiglia.
«Addio Dantès! addio Edmond!» gridava Mercedes sporgendosi dalla terrazza.
Il prigioniero intese quest’ultimo grido, uscito come un singhiozzo dal cuore lacerato della fidanzata; si sporse a sua volta dalla portiera e gridò: «Arrivederci, Mercedes!» e scomparve dietro un angolo del forte Saint-Nicolas.
«Aspettatemi qui – disse l’armatore – prendo la prima carrozza che vedo e corro a Marsiglia; vi porterò notizie»
«Andate! – gridarono tutti – andate e tornate presto!»
Dopo questa duplice partenza ci fu un momento di terribile stupore che sconfortò coloro che erano rimasti; Il vecchio e Mercedes rimasero isolati per qualche tempo, ognuno assorto nel proprio dolore. Poi i loro occhi si incontrarono; si riconobbero come due vittime colpite dalla stessa sventura e si gettarono l’uno nelle braccia dell’altra. In quel momento rientrava Fernand, che si versò un bicchiere d’acqua, lo bevve e andò a sedersi su una sedia. Il caso volle che Mercedes, uscita dalle braccia del vecchio, si andasse a sedere proprio lì di fianco. Fernand, con un movimento totalmente incontrollato, spostò indietro la propria sedia. «È stato lui» disse Caderousse Danglars, che non aveva perso di vista il catalano.
«Non credo – rispose Danglars – è stupido come un animale; in ogni caso, il colpo ferisca chi l’ha sferrato»
«Non hai detto niente su chi lo ha consigliato» disse Caderousse.
«In fede mia, – disse Danglars – se dovessimo essere responsabili di tutto quello che si dice così, all’aria…»
«Sì, se quello che si dice all’aria ricade sulla testa di un innocente!»
Intanto gli altri convitati commentavano in piccoli gruppi l’arresto, ognuno facendo la propria supposizione. «E voi, Danglars – chiese qualcuno – che pensate dell’accaduto?»
«Io – disse Danglars – credo che abbia portato qualche merce proibita»
«In questo caso lo avreste dovuto sapere, visto che siete il contabile della nave»
«Sì, è vero; ma il contabile conosce solo quanto a lui dichiarato: so che abbiamo un carico di cotone, e basta; so che abbiamo ritirato il carico ad Alessandria dal signor Pastret, e a Smirne dal signor Pascal, niente di più»
«Ora mi ricordo – mormorò il povero padre– che ieri mi ha detto di avere una cassa di caffè e una di tabacco per me»
«Vedete – disse Danglars – si tratta di questo: mentre non c’eravamo la dogana avrà fatto dei controlli a bordo del Pharaon e avrà scoperto il contrabbando»
Mercedes non lo credeva affatto; soffocato fino a quel momento il suo dolore, a un tratto scoppiò in lacrime.
«Coraggio, coraggio! Speriamo!» disse papà Dantès senza sapere bene quello che diceva.
«Speriamo!» ripeté Danglars.
«Speriamo» tentò di mormorare Fernand. Ma questa parola lo soffocò; le sue labbra si contrassero e non ne uscì suon alcuno.
«Amici!– gridò uno dei convitati rimasto di vedetta sulla terrazza – amici, una carrozza… Ah! è il signor Morrel! Coraggio, coraggio! Di certo ci porta delle buone notizie»
Mercedes e il vecchio padre corsero incontro all’armatore, che incontrarono sulla porta. Il signor Morrel era pallidissimo.
«Ebbene?» chiesero con una sola voce.
«Ebbene, amici miei – rispose l’armatore scuotendo la testa – la cosa è più grave di quanto potessimo pensare»
«Oh, signore – gridò Mercedes – è innocente!»
«Ne sono convinto – rispose il signor Morrel – ma è accusato…»
«Di che cosa, dunque?» chiese il vecchio Dantès.
«Di essere un agente bonapartista!»
I lettori che hanno vissuto l’epoca in cui accadde questa storia, si ricorderanno quanto terribile fosse l’accusa riferita dal signor Morrel. Mercedes gettò un grido e il vecchio si lasciò cadere su una sedia.
«Ah! – mormorò Caderousse – mi hai ingannato, Danglars. Quello che dicevi essere solo uno scherzo è stato fatto. Ma io non voglio lasciar morire di dolore questo vecchio e questa ragazza; vado da loro a dire tutto»
«Taci, disgraziato! – esclamò Danglars afferrando la mano di Caderousse – o non risponderò della tua vita; chi ti dice che Dantès non sia davvero colpevole? Il bastimento si è fermato all’isola d’Elba, lui è sceso, è rimasto un giorno intero a Portoferraio; se hanno trovato qualche lettera compromettente, potrebbero definire suoi complici coloro che lo hanno difeso»
Caderousse aveva l’istinto rapido dell’egoista e comprese tutta la solidità del ragionamento; guardò Danglars con occhi inebetiti dal timore e dal dolore, e per un passo che aveva fatto in avanti ne fece due indietro.
«Allora aspettiamo» mormorò.
«Sì, aspettiamo – disse Danglars – se è innocente sarà rimesso in libertà; se è colpevole, è inutile compromettersi per un cospiratore»
«Allora andiamocene, non riesco a stare più a lungo in questo posto»
«Sì, vieni – disse Danglars, contento di trovare un compagno di ritirata – lasciamo che risolvano da soli il problema».
E se ne andarono. Fernand, ridiventato il sostegno della ragazza, prese Mercedes per la mano e la ricondusse ai Catalani. Gli amici di Dantès riaccompagnarono ai viali di Meilhan il vecchio quasi svenuto. Ben presto la voce che Dantès era stato arrestato come agente bonapartista si sparse in tutta la città.
«L’avreste mai creduto, mio caro Danglars? – disse il signor Morrel raggiungendo il contabile e Caderousse con la volontà di tornare in fretta in città per avere notizie dirette di Edmond dal sostituto procuratore del re, signor di Villefort, che conosceva un po’ – l’avreste mai creduto?»
«Diamine, signore! – rispose Danglars – ve l’avevo detto che Dantès non si sarebbe mai fermato senza alcun motivo all’isola d’Elba, e come sapete questa puntata mi era sembrata sospetta»
«Ma avete detto a qualcuno, oltre che a me, di questo vostro sospetto?»
«Me ne sarei ben guardato – aggiunse a bassa voce Danglars – sapete bene che a causa di vostro zio Policar Morrel, fedelissimo all’altro e orgoglioso del suo pensiero, voi siete sospettato di rimpiangere Napoleone. Avrei temuto di far del male a Edmond, e anche a voi; ci sono cose che un subordinato deve dire al proprio armatore, ma lasciare nascoste agli altri.»
«Bene Danglars, ottimo – disse l’armatore – avete la testa sulle spalle; per questo avevo pensato anche a voi, nel caso in cui il povero Dantès fosse diventato capitano del Pharaon»
«In che senso, signore?»
«Beh, avevo chiesto a Dantès cosa pensasse di voi e se ci sarebbero stai problemi nel lasciarvi al vostro posto; ho visto qualche tensione tra di voi.»
«E lui cos’ha detto?»
«Che pensava a dire il vero di aver avuto qualche screzio con voi in una certa circostanza non meglio specificata, ma che chiunque avesse la fiducia del suo armatore aveva anche la sua.»
«Che falso!» mormorò Danglars.
«Povero Edmond! – disse Caderousse – era davvero un ragazzo bravissimo!»
«Sì, ma ora – disse Morrel – il Pharaon è senza un capitano.»
«Oh! – disse Danglars – non potendo ripartire prima di tre mesi, c’è da sperare che Dantès venga rilasciato in tempo.»
«Si spera, ma fino al rilascio?»
«Ebbene, fino a quel momento io sono qui, signor Morrel – disse Danglars – sapete bene che so tenere una nave quanto un capitano di esperienza. E poi, incaricando me, non dovrete lasciare a casa nessuno quando Dantès uscirà di prigione: lui riprenderà il suo posto, e io il mio»
«Grazie Danglars – disse l’armatore – è una buona soluzione. Prendete dunque il comando, vi autorizzo, e sorvegliate lo sbarco: nonostante quello che succede alle persone, gli affari devono proseguire»
«State tranquillo, signore; ma sarà possibile almeno vederlo, il buon Edmond?»
«Ve lo dirò tra poco, Danglars; cercherò di incontrare il signor di Villefort e cercare di ottenere qualcosa per Edmond. So che è un realista arrabbiato, ma, diavolo!, anche se realista e procuratore del re, è pur sempre un uomo, e non penso che sia cattivo»
«No – disse Danglars – ma mi hanno detto che è molto ambizioso, e le due cose a volte non si distinguono.»
«Insomma – disse il signor Morrel sospirando – si vedrà; salite a bordo, vi raggiungo.»
E lasciò i due amici per avviarsi verso il palazzo di giustizia.
«Lo vedi – disse Danglars a Caderousse – che verso sta prendendo la storia? Hai ancora voglia di andare a liberare Dantès?»
«No, senza dubbio – disse Caderousse – ma è terribile che da uno scherzo si arrivi a simili conseguenze»
«Diavolo, ma chi è stato? Non tu, non io; è stato Fernand. Tu hai visto che ho gettato quel foglio di carta in un angolo, anzi pensavo di averlo stracciato»
«No, no – disse Caderousse – di questo sono certo: me lo vedo ancora, spiegazzato e appallottolato in un angolo, e vorrei che fosse rimasto là.»
«Cosa ci vuoi fare? Fernand l’avrà raccolto, copiato o fatto copiare, o forse nemmeno questo. Ora che ci penso… oddio! E se avesse spedito la mia lettera? Per fortuna avevo falsificato la scrittura… »
«Quindi tu sapevi che Dantès era un cospiratore?»
«Assolutamente no. Come ho detto, credevo di fare soltanto uno scherzo. Sembra che, come Arlecchino, scherzando io abbia detto la verità»
«È lo stesso – disse Caderousse – non so cosa darei perché questa faccenda non fosse mai capitata, o almeno non ne fossi finito coinvolto. Vedrai che ci porterà sfortuna!»
«Se porterà sfortuna a qualcuno, sarà al vero colpevole, e il vero colpevole è Fernand. Non certo noi. Cosa vuoi che ci succeda? Dobbiamo solo starcene tranquilli, muti su quanto è successo e il temporale passerà senza che cadano fulmini.»
«Amen!» disse Caderousse facendo un cenno di saluto a Danglars e poi andando verso i viali di Meilhan, scuotendo la testa e parlando tra sé come fanno le persone assorte nelle preoccupazioni.
«Bene! – disse Danglars – tutto procede come avevo previsto: eccomi capitano ad interim e poi, se quello stupido di Caderousse starà zitto, capitano effettivo. Resta l’eventualità che la giustizia rimetta in libertà Dantès, ma – aggiunse con un sorriso – la giustizia è la giustizia e in lei confido.»

Saltò in una barca ordinando al conducente di portarlo a bordo del Pharaon, dove lo aspettava, come il lettore ricorda, l’armatore Morrel.

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