giovedì 1 gennaio 2009

Capitolo I: Marsiglia - L'arrivo


Il 24 Febbraio 1815 la vedetta di Notre Dame de la Garde segnalò la nave Pharaon proveniente da Smirne, Trieste e Napoli. Come accadeva di solito un pilota costiere partì immediatamente dal porto, passò vicino al castello d'If e abbordò la nave fra il capo di Morgiou e l'isola di Rion. Inoltre, sempre al solito, i curiosi si erano affollati sulla piattaforma del forte di Saint Jean, poichè a Marsiglia l'arrivo di un bastimento è affare di molta importanza, specialmente quando si tratta di un bastimento costruito, armato e confezionato sui cantieri della vecchia Phocée e di proprietà di un armatore della città. Tale appunto era il Pharaon.


La nave intanto avanzava: aveva felicemente attraversato lo stretto che si dice essere stato aperto da qualche scossa vulcanica tra l'isola di Calasareignie e l'isola di Faros, aveva oltrepassato Pomegue e procedeva sospinto dalle tre gabbie, il grande fiocco e la randa, ma in modo così lento e triste che gli spettatori si chiedevano, avvertendo l'aria di disgrazia, quale accidente potesse mai essere successo a bordo. Le persone dell'arte comprendevano però bene che, se mai fosse successo qualcosa di sinistro, non poteva essere relativo alla nave, che si mostrava in grado di muoversi molto bene, anche se lentamente. L'ancora era pronta ad essere calata, le vele di prua sganciate e, vicino al pilota che si preparava per dirigere il Pharaon nella sua difficile entrata nel porto di Marsiglia, c'era un giovane in forze che sorvegliava attentamente i movimenti della nave e ripeteva tutti gli ordini del pilota.


L'incertezza piena d'ansia nella quale erano sospesi gli spettatori riuniti sulla spianata di Saint Jean aveva preoccupato in modo particolare uno di loro, che non potendo attendere l'entrata del bastimento nel porto si gettò su una piccola barca, fece vogare verso il Pharaon e attraccò in una piccola insenatura detta Réserve.


Vedendo giungere quell'uomo, il giovane marinaio abbandonò il posto vicino al pilota e andò con il cappello in mano ad appoggiarsi al parapetto della nave. Egli era un giovanotto di circa vent'anni, alto in statura, snello, con due profondi occhi neri e capelli del colore dell'ebano. Tutta la sua persona esprimeva quell'aria di tranquillità e di risolutezza propria degli uomini abituati a vivere sin dall'infanzia in lotta con il pericolo.


«Ah, siete voi, Dantès! - esclamò l'uomo sulla barca - cos'è successo, perché quest'atmosfera triste a bordo? »
«Una grande disgrazia, signor Morrel - rispose quel giovane - una grande disgrazia, specialmente per me. All'altezza di Civitavecchia abbiamo perduto il buon capitano Leclère.»
«E il carico?» chiese con vivacità l'armatore.
«Sano e salvo, signor Morrel, e riguardo a questo credo sarete contento. Ma il povero capitano Leclère...»
«Che cosa gli è dunque succeduto? - riprese l'armatore, visibilmente più tranquillo - che cosa è successo a questo bravo capitano?»
«È morto...»
«È caduto in mare?»
«No, signore, è morto di una febbre cerebrale in mezzo a terribili spasmi.»
Poi, volgendosi all'equipaggio:
«Olà! Ehi, ognuno al suo posto per l'ancoraggio!»


L'equipaggio obbedì e in un istante gli otto o dieci uomini che lo costituivano si slanciarono, chi alle gomene, chi alle marre, chi alle drizze, chi ai fiocchi e chi a sistemare le vele.
Il giovane marinaio controllò con un'occhiata quasi indifferente l'inizio delle manovre e, dato che i suoi ordini erano stati recepiti, tornò al suo interlocutore.


«Raccontatemi dunque i particolari di questa disgrazia.» continuò l'armatore riprendendo la conversazione dove il marinaio l'aveva interrotta.
«Buon dio, signore, è successo tutto all'improvviso. Dopo un lungo colloquio con il comandante del porto, il capitano Leclère lasciò Napoli molto agitato. In ventiquattr'ore lo assalì la febbre; tre giorni dopo era morto. Ci siamo occupati dei funerali ordinari ed egli riposa ora avvolto in un'amaca all'altezza del Giglio, con una palla da trentasei ai piedi e una alla testa. Portiamo alla vedova la sua croce d'onore e all'erede la sua spada. - e, continuando con un malinconico sorriso, aggiunse - Valeva proprio la pena di far la guerra agli Inglesi per dieci anni ininterrotti per poi morire così, come chiunque altro, nel proprio letto!»
«Diavolo! Che fare, signor Edmond - riprese l'armatore, che appariva sempre più rilassato - siamo tutti mortali ed è necessario che i vecchi facciano posto ai giovani, altrimenti non ci sarebbero avanzamenti. E dato che voi mi assicurate che il carico...»
«È in buonissimo stato, signor Morrel, lo garantisco. Questo è un carico che vi consiglio di non vendere per meno di venticinquemila franchi.»
Quindi, poiché la nave aveva passato la torre rotonda:
«Attenti a caricare le vele di gabbia, il fiocco e la brigantina! - gridò il marinaio - gettate l'ancora!» L'ordine fu eseguito con la prontezza di un ordine di guerra.
«Ammaina e carica tutto!»
A quest'ultimo ordine le vele furono calate e la nave perseguì per inerzia nel suo moto.
«Se ora volete salire, signor Morrel - disse Dantès vedendo l'impazienza dell'armatore -  ecco il vostro scrivano Danglars che esce dal suo camerino; vi darà tutti i chiarimenti che desiderate: quanto a me bisogna che sorvegli le manovre di ancoraggio e che metta la nave a lutto.»

L'armatore non se lo fece ripetere due volte: afferrò una cima che gli gettò Dantès e salì gli scalini sul fianco della nave con una sveltezza che avrebbe fatto onore anche ad un uomo di mare.L'altro intanto ritornò al suo posto di secondo e la conversazione coinvolse colui che era stato presentato con il nome di Danglars, che appunto uscì dalla sua cabina e si avvicinò all'armatore.
Egli era un uomo di venticinque-ventisei anni, una figura molto cupa, servizievole verso i suoi superiori, insolente con i sottoposti; di modo che, oltre al suo ruolo di computista, di per sé motivo di avversione per i marinai, era tanto malveduto dall'equipaggio per il suo comportamento tanto quanto, al contrario, Edmond Dantès era amato.
«Ebbene signor Morrel - disse Danglars - siete già a conoscenza della disgrazia, no?»
«Sì, sì, povero capitano Leclère! Era un uomo buono e onesto.»
«E soprattutto un eccellente uomo di mare, invecchiato fra il cielo e l'acqua, come dev'essere per un uomo incaricato di curarsi degli affari di una casa così importante come la Morrel e figlio» rispose Danglars.
«Ma - disse l'armatore tenendo gli occhi rivolti a Dantès, che controllava lo stato delle manovre di ancoraggio - mi sembra che non occorra essere un marinaio così navigato come dite, Danglars, per conoscere bene il mestiere. Ecco il nostro amico Edmond che fa il suo, e mi sembra non abbia bisogno del consiglio di nessuno.»
«Sì - disse Danglars gettando su Dantès uno sguardo bieco in cui balenò un lampo d'odio - sì, è giovane e perciò non teme nulla. Appena morì il capitano, prese il comando senza consultare nessuno e ci fece perdere un giorno e mezzo all'isola d'Elba, invece di ripiegare direttamente a Marsiglia.»
«Quanto a prendere il comando della nave - disse l'armatore - era suo dovere farlo in quanto secondo; quanto al perdere un giorno e mezzo all'isola d'Elba, ha fatto male, a meno che l'imbarcazione non avesse qualche avaria da riparare.»
«La nave stava bene come sto io e come desidero che voi stiate sempre, signor Morrel, e questa giornata e mezzo la perdemmo per un capriccio, per il solo piacere di andare a terra, ecco tutto.»
«Dantès - disse l'armatore rivolgendosi verso il giovanotto - venite qui.»
«Scusate, signore - disse Dantès - sarò da voi fra un istante.»
Poi all'equipaggio: «Gettate l'ancora!»
Immediatamente l'ancora fu lasciata cadere e la catena scivolò con rumore. Dantès restò al suo posto, nonostante la presenza del pilota, fino a che la manovra fu conclusa, poi disse: «Abbassate la fiamma a mezz'albero, la bandiera a mezz'asta, incrociate i pennoni!»
«Vedete - disse Danglars - si crede già capitano, ci scommetto.»
«E lo è, infatti» disse l'armatore.
«Si, signor Morrel, salvo che per la vostra firma e quella del vostro socio.» «Diamine! Perché non dovremmo lasciargli il posto? - disse l'armatore - É giovane, lo so bene, ma mi sembra adatto all'incarico e molto esperto nel suo mestiere.» 
Una nube passò sulla fronte di Danglars.
«Scusate, signor Morrel - disse mentre si avvicinava il giovane Dantès - la nave è all'ancora e io sono da voi. Mi avevate chiamato, no?» 
Danglars fecce un passo indietro.
«Io volevo domandarvi perché vi siete fermato all'isola d'Elba.»
«Neanch'io lo so: è stato per eseguire un ultimo comando del capitano Leclère, che mi aveva affidato in punto di morte un plico per il gran Maresciallo Bertrand.»
«L'avete dunque visto, Edmond?»
«Chi?»
«Il gran Maresciallo.»
«Sì.»
Morrel si guardò intorno, poi prese da parte Dantès.
«E come sta l'Imperatore?» domandò fortemente interessato.
«Bene, per quanto ho potuto giudicare con i miei occhi.»
«Quindi avete visto anche l'Imperatore?»
«Entrò dal Maresciallo mentre vi ero io.»
«E gli avete parlato?»
«In realtà fu lui a parlarmi» rispose Dantès, sorridendo.
«E cosa vi disse?»
«Mi ha fatto delle domande sul bastimento, sulla data della partenza da Marsiglia, sul viaggio che aveva fatto e sul carico che portava. Credo che, se fosse stato vuoto e io ne fossi stato il padrone, l'avrebbe voluto comprare. Ma gli dissi che io non ero che un semplice secondo, e il bastimento apparteneva alla casa Morrel e figlio. "Ah! - disse - la conosco. I Morrel sono armatori di padre in figlio, ed ho conosciuto un Morrel, che serviva nel mio stesso reggimento quando ero in guarnigione a Valence."»
«E vero, è vero! - esclamò contento l'armatore - era Policarpo Morrel, mio zio, che divenne capitano; Dantès, dite a mio zio che l'Imperatore si è ricordato di lui e vedrete piangere quel vecchio brontolone. Andiamo, andiamo - continuò il vecchio armatore battendo amichevolmente la mano sulla spalla del giovane -
voi avete fatto bene ad eseguire le istruzioni del capitano Leclère e fermarvi all'isola d'Elba, anche se, se si venisse a sapere che voi avete consegnato un plico al Maresciallo e parlato coll'Imperatore, il fatto potrebbe senza dubbio compromettervi.»
«Come volete voi che ciò comprometta - disse Dantès - io non so neppure ciò che ho consegnato e l'Imperatore non mi ha fatto che quelle domande, che avrebbe posto al primo arrivato... Ma scusate - riprese Dantès - ecco la Sanità e la Dogana che giungono. Voi permettete, non è vero?»
«Fate, fate pure, mio caro Dantès.»
Il giovane si allontanò, e mentre si allontanava, Danglars si accostava.«Ebbene - chiese - ha addotto buone ragioni sulla sua fermata a Portoferraio?»
«Eccellenti, mio caro Danglars.»
«Ah, tanto meglio - rispose questi - perché è sempre cosa spiacevole vedere un compagno che non fa il proprio dovere.»
«Dantès ha fatto il suo - rispose l'armatore - e non c'è nulla da ridire. Fu il capitano Leclère ad ordinargli questa fermata.»
«A proposito del capitano Leclère, vi ha consegnato una sua lettera?»
«A me? No. Ne aveva da consegnarmi?»
«Credevo che oltre al plico, il capitano Leclère gli avesse affidato una lettera.»
«Di quale plico parlate?»
«Di quello che Dantès ha lasciato nella visita a Portoferraio.»
«E come sapete che aveva un plico per Portoferraio?»
Danglars arrossì.
«Passavo davanti alla porta del capitano, che era socchiusa, e lo vidi consegnare a Dantès il plico e la lettera.»
«Non me ne ha parlato - disse l'armatore - ma se ha questa lettera, me la consegnerà.»
Danglars rifletté un istante.
«Allora, signor Morrel, vi prego - disse - di non parlarne a Dantès; mi sarò ingannato.»
In quel momento il giovane fece ritorno e Danglars si allontanò.
«Ebbene, mio caro Dantès, siete libero?» domandò l'armatore.
«Sì, signore.»
«La cosa non è stata lunga.»
«No, ho consegnato alla Dogana la lista delle vostre mercanzie; e, quanto alla consegna, è arrivato con il pilota costiero un uomo a cui ho consegnato le mie carte.»
«Allora non avete più niente a fare qui?»
Dantès gettò uno sguardo rapido intorno a sé.
«No, qui tutto è in ordine.»
«Potete dunque venire a pranzo con noi?»
«Scusatemi, signor Morrel, scusatemi, ve ne prego, ma la prima visita la devo a mio padre. Non sono però meno riconoscente per l'onore che mi fate.»
«É giusto, Dantès, è giusto: so che siete un buon figlio.»
«E... - domandò Dantès con una certa esitazione, - sta bene mio padre, che voi sappiate?»
«Io credo di sì, mio caro Edmondo, anche se non l'ho visto di persona.»
«Sì, si tiene ritirato nella sua stanzetta.»
«Ciò prova, per lo meno, che non ha avuto bisogno di nulla durante la vostra assenza.»
Dantès sorrise.
«Mio padre è altero, signore, e anche nel caso fosse stato sprovvisto di tutto, non avrebbe chiesto nulla a nessuno, eccetto che a Dio.»
«Ebbene, dopo questa prima visita, noi contiamo su voi.»
«Scusatemi di nuovo, signor Morrel, ma dopo questa prima visita, io ne farò un'altra che non mi sta meno a cuore.»
«Ah, è vero, Dantès, dimenticavo che tra i Catalani c'è qualcuno che deve aspettarvi con non meno impazienza di vostro padre; la bella Mercedes.»
Dantès arrossi.
«Ah! ah! - disse l'armatore - non mi sorprende più che sia venuta tre volte a domandare notizie del Faraone. Perbacco, Edmond, voi non siete da compiangere: avete proprio una graziosa amica.»
«Non è mia amica, ma - disse il marinaio con aria seria - è la mia fidanzata.»
«Qualche volta sono una cosa sola» disse ridendo l'armatore.
«Ma non per noi» rispose Dantès.
«Andiamo, andiamo, mio caro Edmond! - continuò l'armatore - non voglio trattenervi di più. Voi avete fatto i miei affari abbastanza bene perché io vi lasci fare i vostri con comodità. Avete bisogno di denaro?»
«No, signore, ho tutti i miei stipendi del viaggio, cioè quasi tre mesi di risparmi.»
«Voi siete un giovane previdente, Edmond!»
«Ricordate che ho un padre povero, signor Morrel.»
«Sì, sì, so bene che siete un buon figliolo! Andate dunque a veder vostro padre. Anch'io ho un figlio e non saprei perdonare quacuno che dopo tre mesi di viaggio lo tenesse lontano da me.»
«Dunque mi permettete di andare?» disse il giovane salutandolo.
«Sì, se non avete altro da dirmi.»
«No.»
«Il capitano Leclère non vi ha dato, morendo, una lettera per me?»
«Gli sarebbe stato impossibile scrivere, ma ciò mi ricorda che avrei un congedo di qualche giorno da chiedere.»
«Per prender moglie?»
«Prima di tutto per quello, poi per andare a Parigi.»
«Bene, bene! Prenderete il tempo che vorrete, Dantès. Non ci vorranno meno di sei settimane per scaricare il bastimento, e non ci rimetteremo in mare prima di tre mesi. Sarà opportuno che vi facciate trovare qui fra tre mesi. Il Pharaon - continuò l'armatore battendo sulla spalla del giovane marinaio - non potrebbe partire senza il suo capitano.»
«Senza il suo capitano! - esclamò Dantès con gli occhi sfavillanti di gioia - prestate attenzione a ciò che dite, signore, poiché rispondete alle più segrete speranze del mio cuore; avreste intenzione di nominarmi capitano del Pharaon?»
«Se fossi da solo vi stenderei la mano, mio caro Dantès, e vi direi: è fatto; ma ho un socio, e voi sapete l'antico proverbio toscano, chi ha compagno, ha padrone. Ma metà dell'affare è fatto: su due voti ne avete già uno. Per avere l'altro, fidatevi di me. Farò del mio meglio.»
«Oh, signor Morrel - esclamò il giovane marinaio, stringendo le mani dell'armatore con le lacrime agli occhi - signor Morrel, vi ringrazio in nome di mio padre e di Mercedes.»
«Va bene, va bene Edmond. C'è un Dio in cielo per la brava gente. Andate a vedere vostro padre, fate visita a Mercedes, poi ritornate da me.»
«Non volete che vi riporti a terra?»
«No, grazie, rimango a regolare i conti con Danglars. Siete rimasto contento di lui durante il viaggio?»
«Secondo il senso che voi date a questa domanda; se per la fedeltà del compagno di viaggio no, perché io credo che non mi stimi, dal giorno in cui ebbi la debolezza, in seguito ad uno scontro, di proporgli di fermarci dieci minuti sull'isola di Montecristo per terminare questa contesa; proposta, questa, che io ebbi torto di fare e che egli ebbe ragione di rifiutare. Se è per lo scrivano che mi fate questa domanda, credo che non ci sia nulla da dire, e sarete contento del modo con cui ha svolto il suo compito.»
«Ma - domandò l'armatore - se foste capitano del Pharaon terreste Danglars con piacere?»
«Capitano, o secondo - rispose Dantès - avrò sempre i più grandi riguardi per coloro che godono della fiducia dei miei armatori.»
«Andiamo, andiamo, Dantès, vedo bene che siete un bravo ragazzo sotto tutti i punti di vista. Non voglio trattenervi più a lungo. Andate, perché sembra che abbiate la brace sotto i piedi!»
«Arrivederci, signor Morrel, e grazie mille.»
«Arrivederci, mio caro Edmond, e buona fortuna!»
Il giovane marinaio saltò sulla lancia, andò a sedersi a poppa e ordinò di approdare alla Canebière.
Due marinai si piegarono sui loro remi e la barca fuggì con la velocità che è possibile avere in mezzo a mille barche che ingombrano quella specie di angusta strada che conduce, fra due file di navigli, dall'entrata del porto allo scalo di Orléans. Sorridendo, l'armatore lo seguì con gli occhi fino alla spiaggia, lo vide saltare sui gradini dello scalo e perdersi subito in mezzo alla folla variopinta che dalle cinque del mattino alle nove della sera ingombra la famosa strada della Canebière, di cui i Phocéens moderni sono tanto orgogliosi da dire, con la più gran serietà del mondo e con l'accento che imprime tanto carattere a ciò che dicono: «Se Parigi avesse la Canebière, Parigi sarebbe una piccola Marsiglia.»
Girandosi l'armatore vide Danglars, all'apparenza in attesa dei suoi ordini ma in realtà intento come lui a seguire il giovane marinaio con lo sguardo. C'era soltanto una grandissima diversità nell'espressione di questo doppio sguardo diretto alla stessa persona.

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